Il commento

Lele Adani, urla & ego: il simbolo della tele-decadenza

Claudio Savelli

Si può essere entusiasti, appassionati, innamorati follemente del calcio (e del bel calcio prodotto dall’Italia) senza farlo pesare. È il consiglio che molti spettatori darebbero a Lele Adani dopo Belgio-Italia, per migliorare una convivenza che certamente ha diversi lati positivi e potenzialità ancora inesplorate.

Per definizione la Rai ha sempre bisogno di essere svecchiata e, alle volte, miracolosamente, se ne rende conto: a questo scopo ha promosso Adani al commento delle partite dell’Italia al fianco di Rimedio, dopo averlo alternato tra lo studio e la cabina di commento delle gare delle altre Nazionali al fianco del sempreverde Stefano Bizzotto. Adani era già Adani in quelle telecronache, lo è sempre stato, e il suo stile è rimasto lo stesso nel passaggio al commento dell’Italia. Giusto essere coerenti nella vita, ma in questo caso serve una piccola deviazione: essendo la Nazionale l’unica squadra che tutti noi tifiamo, serve massimo equilibrio. Sia nel bene sia nel male.

Ad esempio è tendenza di Rimedio avere un tono abbattuto e rassegnato alla prima difficoltà o al primo errore di un azzurro così come è tendenza di Adani esaltare la prima bella giocata della Nazionale. È vero che i due, detta così, sono complementari, ma lo sarebbero anche limando questi eccessi.

Lele porta nel mondo asettico delle telecronache Rai nel calcio la sua passione pura, e per questo funziona. Però a volte, molto semplicemente, è così entusiasta che dimentica di essere in cronaca. È giusto essere coerenti con sé stessi e non avere sovrastrutture, ma bisogna anche rendersi conto del contesto in cui si opera: in un canale tematizzato per i tifosi si può anche urlare, sull’unico che trasmette la partita al pubblico più generalista in assoluto, essendo quello della Nazionale, ecco, no.

 

Adani è lì per un commento “tecnico”, non per un rinforzo folkloristico. E il paradosso è che la sua missione per cui è stato ingaggiato in teoria è esattamente quella: raccontare la parte tecnico-tattica del calcio contemporaneo a un pubblico che magari non la mastica, dato che è quello della Rai.

Però per raccontare quella parte ci vogliono lucidità, un tono di voce rassicurante e il massimo rispetto della competenza del pubblico. È come se Adani entrasse a gamba tesa nella cronaca per evidenziare che lui ha capito quel che sta succedendo - nel caso del Belgio, che l’Italia stava giocando divinamente- mentre tante persone non se ne accorgono. L’urlare “CAAAALCIOOOOO!” mentre gli azzurri costruiscono una buona azione sembra un modo per dire che ha visto del buon calcio in quella azione prima degli altri. Diverso è spiegare subito dopo perché quella azione è stata esaltante. L’esempio è proprio lì vicino e già in casa Rai: Andrea Stramaccioni, che la Rai ha assegnato allo studio delle gare dell’Italia dopo averlo scoperto proprio come seconda voce ai Mondiali in Qatar, dando l’assist a Dazn che lo ha ingaggiato perla serie A, e che riesce a esaltare lo spettacolo senza spettacolarizzare la telecronaca.