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Milan, operazione-piccole squadre: perché Paulo Fonseca non ha più alibi

Claudio Savelli

Il Milan ha mostrato il meglio di sé contro l’Inter e contro il Real Madrid, sulla carta le due partite impossibili di questo inizio di stagione. Come mai? La risposta è nella rosa rossonera, nelle sue caratteristiche, nei suoi pregi che brillano e nei suoi difetti che spariscono proprio quando di fronte ci sono squadre di livello superiore. Vero che le merengues sono in un momento di crollo verticale - e continueranno così, a occhio, se Ancelotti non saprà dare equilibrio a una rosa di figurine - ma il fattore Bernabeu e il fattore Champions sommati compensano ampiamente: serve superarsi per tornare a Milano con i tre punti, infatti il Milan è andato ben oltre il rendimento medio stagionale.

È nella natura dei suoi giocatori un po’ naïf esaltarsi solo nelle serate di gala perché sono quelle in cui il Milan viene presentato come vittima sacrificale. I vari Leao, Theo, Tomori, Maignan peccano di presunzione quando la partita è facile, immagazzinano critiche e poi le smentiscono quando c’è l’occasione giusta. Non hanno mezze misure ed è per questo che il Milan non trova continuità. Per trovarla, serve che Fonseca renda questa squadra meno umorale. Come?

 

 

Oltre a un lavoro psicologico sui leader - che sta facendo dando continuità a taluni e escludendone altri, vedi Leao - serve raggiungere un equilibrio tattico definitivo. La soluzione vista al Bernabeu è quella giusta: Musah a destra al posto di un’ala pura come Chukwueze e in grado di scalare sull’esterno avversario, in questo caso Vinicius, e creare una reazione a catena in tutta la difesa. Emerson Royal diventa il terzo di destra (giusto dato che non ha le qualità da terzino che fa la differenza), Thiaw (o Gabbia) il centrale puro, Tomori (o Pavlovic, che è mancino) il centrale di sinistra, e Theo è libero di fare il quinto a sinistra, il ruolo in cui dovrebbe giocare, esentandosi da qualche compito difensivo che gli sta stretto.

Questa rotazione crea una specie di 3-5-2 equilibrato, la struttura ideale per trasformare Leao da uomo perso in fase difensiva a valore aggiunto in attacco. In mezzo, Fofana diventa il mediano, Reijnders la mezzala associativa e l’altra mezzala è Pulisic, giocatore così intelligente da potersi riciclare anche lì. E Morata, davanti, ha spazio per svariare, non è inchiodato al ruolo di boa che non ha nelle corde. Forse Fonseca aveva in mente questa versione del Milan fin dall’estate, dato che si era opposto al sacrificio di Saelemaekers (peraltro passato tra le mani magiche di Thiago Motta a Bologna) che era perfetto in quel ruolo di tuttafascia a destra.

Però ci ha messo parecchio a trovarla, forse troppo, e come quando nel derby aveva disegnato il 4-2-4, può essere l’abbia pensata solo per affrontare il Real Madrid. Sarebbe un peccato perché è il sistema che meglio nasconde i difetti del Milan (l’assenza di un regista e di difensori abili a giocare di reparto più l’insofferenza difensiva di Leao) e più ne esalta le caratteristiche di ribaltamento veloce delle azioni, attacco del campo aperto, transizioni veloci guidate da un sempre più sontuoso Reijnders, oltre a un sempre brillante Pulisic.

È impossibile tenere il rendimento del Bernabeu in ogni partita perché il livello di attenzione era massimo, pari non a caso solo a quello del derby in cui il Milan doveva liberarsi di un’angosciante serie di sei ko consecutivi contro l’Inter. E ha ragione Fonseca nel dire che «è più difficile affrontare Monza e Cagliari (sabato alle 18, ultima prima della pausa Nazionali, ndr) che marcano a uomo» piuttosto che il Real Madrid che concede spazi in campo aperto, ovvero pane per i denti dei rossoneri. Ma è proprio questo passo a differenziare una buona squadra da una grande, e l’unico modo che ha Fonseca ora, recuperato Leao, è dare continuità tattica. Squadra che vince non si cambia, a maggior ragione contro le piccole che sono più difficili di una grandissima come il Real.