Zampate

Milan, Gerry Cardinale: "Il messaggio ai tifosi? Nessun messaggio"

"Il messaggio alla tifoseria del Milan è che non vi darò alcun messaggio finché non vinceremo. Perché capisco che è l’unica cosa che vi interessa. Ma io farò il mio lavoro e faremo tutto il possibile per vincere. Ma vincere in modo intelligente. E se lo farò, saremo longevi".

Le parole di Gerry Cardinale piovono come una doccia gelata sui tifosi rossoneri, ancora stupiti ed ebbri per la gioia del derby vinto contro l'Inter dopo sei ko di fila. Il calcio, si sa, è più pancia e cuore che testa, ma il patron americano di RedBird si comporta più da attento gestore che da proprietario capo-popolo. Il suo è un sano, saggio, pragmatico realismo: perfetto per il mondo dell'alta finanza, decisamente meno per gli umorali appassionati di pallone. 

 

 

 

Intervenuto a New York in occasione della "Giornata dello Sport Italiano nel Mondo" (insieme a lui, il ministro degli Esteri Antonio Tajani), Cardinale ha nuovamente spiegato la ratio dietro la gestione del Diavolo: "Quando abbiamo comprato il Milan, è stato per portare in Italia quello che facciamo per mestiere. C’è una strategia molto più grande di quella che si gioca ogni settimana in Italia, ovvero vincere le partite. Quando guardo alla Serie A e al Milan, indosso più cappelli (da tifoso, ndr): quello del Milan, quello della Serie A e quello dell’Italia. Una delle cose che vorrei fare come amministratore del Milan e come partecipante alla Serie A è lavorare con essa e con tutti i membri dell’ecosistema italiano per riportare l’Italia a quello che era in termini di calcio europeo globale. Credo che questo sia fondamentale".

Ancora una volta, tra le righe, si capisce come l'aspetto sportivo per RedBird non sia il principale di tutto il dossier-Milan, e perlomeno sia uno tra i tanti. Perché prima della squadra in senso tecnico viene il club, intesa come società e business. "Considero la A come una delle più grandi esportazioni dell’Italia. Non si può fare, però, se ci concentriamo solo sul vincere le partite. Non possiamo farlo se non innoviamo, se non cambiamo questo paradigma in tutto il calcio europeo, dove sembra esserci questa nozione implicita che si debba spendere tutto il necessario per vincere, come se ci fosse una correlazione diretta tra spesa e vittoria".

 

 

 

La sfida, insomma, è titanica. Altro che vincere un derby. "Quello che faccio in America per vivere, investendo nello sport, è sempre una partnership pubblico-privato. In America, chi spende i soldi per comprare le squadre, è il proprietario della squadra. In Italia i tifosi penso credano che la squadra sia di loro proprietà e noi abbiamo un lavoro da fare per soddisfare questo concetto. Ma quello che sto cercando di fare, e non sto ricevendo molto aiuto nell’ecosistema italiano, è una partnership tra tutti i partecipanti alla catena del valore: i tifosi, il governo locale, il governo nazionale, il capitale per costruire le nostre infrastrutture. Abbiamo gli Europei in arrivo nel 2032. Sto cercando di fare uno stadio a Milano".