L'analisi

Italia, i "contro" di Luciano Spalletti: le ragioni per cui gli azzurri possono fallire

Claudio Savelli

L’Italia s’è desta? Parzialmente sì. Rispetto alla preoccupante prestazione contro la Turchia, avversario superiore alla Bosnia ma nelle amichevoli si deve badare a sé più che agli altri, c’è stato un enorme passo in avanti. Non ci voleva molto, ma si fa presto a scivolare nel baratro della sfiducia con due pessime prove generali in sequenza.

Meglio iniziare a funzionare tardi- mancano solo quattro giorni dall’esordio agli Europei: sabato sera ci aspetta l’Albania, rivale non così morbida come si è portati a pensare - che mai. Partiamo dal nuovo sistema di gioco, il 3-4-2-1: ha dato risposte ampiamente positive rispetto al vecchio e ormai prevedibile 4-3-3.

 

 

 

La difesa a tre vista contro la Bosnia si avvicina alla titolare che ha in mente Spalletti: Darmian dà più garanzie in questo momento rispetto a Di Lorenzo sul centrodestra, Buongiorno ha confermato di poter guidare la retroguardia mentre duella con i centravanti rivali, e Bastoni sostituirà un Calafiori che ha pagato dazio all’emozione ma poi ha iniziato a fare... il Bastoni, servendo filtranti direttamente ai trequartisti o alla punta, tagliando il centrocampo avversario.

 

CAMBIO DI DISPOSIZIONE

La retroguardia a tre funziona perché l’Italia non ha difensori in rosa che di solito giocano a quattro, e ne ha molti proiettati in avanti. Infatti il cambio di disposizione difensiva ha incrementato la capacità offensiva della squadra. Contro la Turchia erano state create zero grandi occasioni, contro la Bosnia ne sono arrivate tre.

Il triplo, facile. Gli ingressi nell’ultimo terzo di campo, quello più vicino alla porta avversaria, sono passati da 50 a 70 nell’arco della partita, a conferma di una maggiore facilità a trovare gli uomini negli spazi. A tal proposito va segnalata la buona prova di Scamacca più lontano dalla porta che non nei pressi, dove può migliorare vista la grande occasione sprecata nel secondo tempo. A quello ci sta pensando - altra cosa buona Frattesi. La sua capacità di inserirsi è oro in un gioco di imbucate come quello spallettiano. Ecco, gli azzurri iniziano a comprendere cosa chiede il ct. Ovvero di ritagliarsi spazio tra gli uomini mentre la manovra scorre. Vuol dire anche che si sta instaurando un rapporto di fiducia reciproca tra ct e giocatori. Quando c’è stato questo feeling, abbiamo fatto cose buone. Quando non c’è stato, ci siamo sempre autodistrutti.

 

 

 

Le cose da migliorare sono tante, meglio badare alle principali perché non c’è tempo per tutto. La gestione sarà delicata perché abbiamo una rosa in cui si fatica a identificare titolari e riserve. Un difetto che è anche un pregio: Spalletti avrà una qualità più o meno simile in ogni formazione ma dovrà indovinare molte più scelte durante il torneo rispetto, per dire, a Mancini che aveva i suoi undici e cambiava solo in caso di necessità. La falla più grande è la mancanza di intensità mentale per l’intera partita, già svelata dal ct l’altra sera. L’Italia, quando deve rifiatare, tende a diventare passiva, anche con il pallone tra i piedi: si prendano ad esempio i passaggi leggeri, non pensati, di Calafiori e Dimarco che hanno obbligato Donnarumma a due prodezze. Sono stati cali di tensione dovuti all’eccesso di sicurezza.

 

TENDE A SPECCHIARSI

Ecco, una formazione ancora immatura (questo è l’Italia ora, al contrario di quella manciniana nel 2021) tende a specchiarsi quando gioca bene per qualche minuto. Non può accadere all’Europeo. Un altro difetto è la poca qualità in alcuni interpreti: Bellanova, ad esempio, ha grande corsa e coraggio ma sbaglia spesso quando deve pensare la giocata.

Non solo interrompe il flusso ma espone l’Italia alle ripartenze visto che - altro difetto - non sono ancora assimilate le coperture preventive. Spesso Buongiorno si è ritrovato nel duello da solo a tutto campo, e va bene finché l’avversario è Demirovic. Sarà più difficile con Morata e ancora di più, sperando di guadagnarceli, con Kane, Mbappé & Co.