L'intervista

Riccardo Patrese, il trionfo più assurdo: "Quando ho vinto a Montecarlo a mia insaputa"

Leonardo Iannacci

Al gran premio di Montecarlo si gioca sempre d’azzardo tra i muretti del Principato, sfiorati quando si guida con il piede a martello a 250 all’ora e l’imprevisto è in agguato. Tutto può accadere e la vittoria non è mai sicura sino agli ultimi metri dell’ultimo giro, a volte persino quando si è tagliato il traguardo non si ha la certezza della propria posizione. Ne sa qualcosa Riccardo Patrese, uno dei piloti italiani più titolati della Formula 1, vice-campione del mondo nel 1992 con 256 gran premi corsi, 6 vittorie e 8 pole position.

Patrese, quando le citiamo Montecarlo 1982, cosa le viene in mente?
«Una delle gare più pazze di sempre. Vinta dal sottoscritto che non sapeva minimamente, al traguardo, di essere lui il trionfatore».

Ce la racconta meglio?
«Si trattava di una gara molto particolare. Tutto il Circus era scosso dalla morte di Gilles Villeneuve, avvenuta due settimane prima in Belgio».

Gareggiaste in un’atmosfera assai particolare...
«Esatto. Arnoux con la Renault partì in pole, io ero accanto a lui con la Brabham e l’unica Ferrari in gara con Pironi era alle mie spalle».

 

 

 

Poi successe di tutto?
«Soprattutto negli ultimi due giri perché ci si mise di mezzo anche la pioggia a complicare la classifica».

In che senso?
«Le faccio la cronaca in diretta di quell’incredibile finale: la Renault di Arnoux ha un’inconveniente meccanico e va in testa Prost che, peró, si ritira dopo poche curve. Mi trovo al comando e pregusto il trionfo quando la mia Brabham scivola su una macchia d’olio lasciata dalla Williams di Daly e si ferma al Loews. Mi sfila Pironi ma la sua Ferrari ha problemi con la batteria. Diventa allora primo per qualche minuto De Cesaris con l’Alfa Romeo ma è un’illusione per i tifosi del Biscione: Andrea resta senza benzina, così si trova in testa Daly. Che però sbatte anche lui».

E lei?
«Oltrepasso il traguardo senza sapere nulla e incavolato, penso a una vittoria sfumata».

Poi realizza subito?
«Solo quando i marshall mi invitano a posizionare la mia Brabham sotto il palco del Principe Ranieri. Dapprima non realizzo, poi capisco di aver vinto e impazzisco, stavolta di gioia».

Insomma, ha vinto a Montecarlo senza sapere di aver... vinto.
«Esatto. Questa è Monaco, una roulette impazzita dove può succedere di tutto».

Per esempio che la Rossa di Leclerc o quella di Sainz possano vincere?
«Perché no? A Imola non erano così distanti da Verstappen. Però ho notato che la McLaren sta facendo passi da gigante. Gli avversari delle Ferrari sono tre: Verstappen, Norris e Piastri».

Dove si vince un Montecarlo?
«Nelle prove di qualifica. Se parti in testa hai due terzi della vittoria in tasca. La pista è stradale e sorpassare è impossibile fra quei muretti».

Domani su chi puntare le fiches?
«C’è incertezza, speriamo che Leclerc riesca a dare quel quid in più nella gara di casa”.

 

 

 

L’anno prossimo come vede Hamilton in rosso?
«Bene. Quest’anno non ha una Mercedes competitiva anche se Monaco è una pista che può nascondere i problemi di una monoposto, come si è visto ieri nelle prime libere».

Hamilton più Ferrari è un’equazione mondiale?
«Non è matematico. Adrian Newey potrebbe essere l’asso nella manica per realizzare la Ferrari del sospirato mondiale. Un pilota, da solo, non conta in questa F1. Però Newey lavorerà sulla macchina del 2026, quindi occorrerà attendere».

Nella storia, quale pilota ha davvero fatto veramente la differenza?
«Ayrton era una forza della natura che traeva il meglio da una monoposto normale aggiungendoci il proprio talento. Come lui, solo il primo Schumacher».