L'intervista
Atalanta, Roberto Donadoni innamorato della sua Dea: "Molto più che una squadra"
Cuore da tifoso, cervello da allenatore: Roberto Donadoni non poteva che essere in tribuna a Dublino, mercoledì sera, e in una diplice veste: per tifare e per analizzare quella che è stata una delle più scintillanti vittorie di una squadra italiana in Europa.
Donadoni, prima domanda al tifoso: se l’aspettava?
«Sono nato a Cisano Bergamasco, ho iniziato a giocare a Bergamo e sono andato fino a Dublino palpitando per la mia squadra del cuore. Speravo davvero in una serata simile. Il Donadoni allenatore, invece, era assai curioso di capire se l’Atalanta ce l’avrebbe fatta».
In che senso?
«Nel senso che dopo aver visto cedere la Coppa Italia alla Juventus, e in quel modo, mi attendevo una risposta, una reazione dei giocatori. Che c’è stata in modo clamoroso, come pensavo. Conosco certe dinamiche di spogliatoio».
Da tecnico si aspettava, però, una mattanza simile?
«Quando una squadra arriva alla finale di Europa League dopo aver dato segnali importanti negli ultimi anni in Champions e dopo aver vinto su campi nobili quali solo quelli di Liverpool o Ajax, si presenta in una finale per vincerla. L’Atalanta l’ha stradominata».
Lookman è stato il magnifico match-winner ma era in dubbio alla vigilia...
«È la vita, è il calcio. Talvolta quando sembra che una situazione sia indirizzata in un certo modo, accade il contrario. Lookman ha fatto tre gol incredibili».
Li riviviamo insieme?
«Volentieri. Il primo è stato di furbizia, ha approfittato di una distrazione del difensore tedesco e ha infilato Kovar. Il secondo è stato un capolavoro: il nigeriano ha fatto un tunnel a Xhaka e poi ha segnato. Il terzo è venuto nel momento di più intensa pressione del Bayer. Che, poi, è crollato».
Tre simboli da prima pagina per questo trionfo?
«Lookmann, Percassi e Gasperini».
Gasperson ha finalmente baciato il Sacro Graal dopo tante beffe. È un grande allenatore?
«Lo scopriamo adesso? Ha meriti enormi anche se l’altra sera ha vinto tutta l’Atalanta e la filosofia che vige a Bergamo da una decina di anni».
Il trionfo di Dublino è un punto di arrivo per la Dea?
«No, affatto. È un incredibile e bellissimo punto di partenza. I giocatori volevano dimostrare a tutta Europa che le continue qualificazioni in Champions degli ultimi anni, i quarti di finale persi nel 2020 contro il Paris Saint Germain o, l’anno dopo, gli ottavi contro il Real Madrid, non erano frutto del caso».
Un giorno arriverà anche il triangolino bianco-rosso-verde sulle maglie dell’Atalanta?
«Noi bergamaschi andiamo per gradi. Intanto l’Atalanta andrà giocarsi la Supercoppa europea contro la vincitrice della Champions, Real o Borussia. Vi sembra un traguardo da poco?».
La Dea sta insegnando a molti, top-club compresi, come si gestisce una società calcistica, vero?
«Certo. E in questo hanno avuto grandi meriti il presidente, gli attuali dirigenti, Gasperini e tutta la città».
Il calcio del Gasp è: marcatura a uomo, pressing e aggressività al limite dell’ossessione. È il football del nuovo millennio?
«Il calcio cambia e deve evolversi sempre. Gasperini lo ha fatto nel migliore dei modi, per esempio pungolando i giocatori reduci, come dicevo, dalla delusione in Coppa Italia».
Una finale si prepara anche psicologicamente, in effetti. Il suo Milan, ad Atene nel 1994, partì sfavoritissimo. Quel Barcellona di Romario e Stoichkov pareva imbattibile e, invece, finì 4-0 per voi. Un trionfo simile a quello dell’Atalanta?
«In effetti ci sono delle analogie. A noi diede molto fastidio la loro presupponenza quando dissero, alla vigilia, che sarebbe stata una passeggiata, che il calcio del futuro era il loro».
A proposito di Milan, come vede questo momento?
«Il club si sta adeguando al calcio di oggi dove i Berlusconi e i Moratti, o anche i Sensi, sono sempre più rari. L’Atalanta rappresenta un club unico anche per questo motivo».
Vedrebbe bene Zirkzee in rossonero?
«Tra gli attaccanti della nuova generazione è quello che mi piace di più perché è totale: dialoga con i compagni, gestisce il pallone e sa finalizzare».
È esploso nel Bologna che ha appena perso Motta: è Thiago l’allenatore dell’anno?
«Diciamo che è il Bologna la sorpresa dell’anno. E, guarda un po’, ha come mago del mercato Giovanni Sartori che, per anni, ha contribuito a scrivere la favola della Dea».