Il rimorso

Ayrton Senna, gli ultimi istanti di vita: "Mi mostrava il pugno", il dramma del pilota della safety

Un ricordo terribile, un peso sulla coscienza che fatica ad andarsene. Nonostante la colpa non fosse stata sua, Max Angelelli non riesce a dimenticare quello sguardo, quel gesto che Ayrton Senna gli rivolse poco prima di schiantarsi alla curva del Tamburello. Max quel giorno guidava la sefty car che, pochi secondi dopo il via del gran premio, in seguito all'incidente fra Letho e Lam, fu costretta a entrare. Una Opel Vectra incapace di tenere dietro di sé delle vetture di Formula 1. Di quei giri si ricordano ancora le immagini di Ayrton Senna che, con il pugno alzato, intimava alla sefty di aumentare la velocità.

Nel nuovo libro "Senna: Le verità" scritto da Franco Nugnes, Angelelli ha raccontato il terrore che ha provato quando è arrivato a Imola e gli è stata mostrata l'auto: "Ti racconto quello che ho vissuto: per anni ho provato rimorso per l'incidente. Pensavo che le sue gomme avessero perso pressione e questo avesse fatto sì che la macchina colpisse i dossi del Tamburello".

 

 

Da qui inizia il racconto di quei minuti dopo l'incidente al via: "Siamo entrati in pista e abbiamo rallentato, aspettando che le macchine arrivassero dietro di noi e con uno sguardo allo specchietto retrovisore vidi avvicinarsi la Williams di Senna, che era in testa. Si è affiancato, come ha fatto poi più volte, mostrandomi il pugno e dicendomi di andare più veloce. Sto risvegliando ricordi che speravo di aver cancellato dalla mia memoria: io e Charlie siamo stati gli ultimi a guardare Ayrton negli occhi".

Non può dimenticare la rabbia del pilota della Williams e i sensi di colpa lo dilaniano ancora oggi: "Il brasiliano era furioso e aveva più che ragione a sentirsi così. La sua Williams andava troppo piano e le gomme avrebbero perso pressione e temperatura. Whiting è rimasto in silenzio e non mi ha chiesto di andare più veloce. Si era accorto che la Vectra non aveva abbastanza potenza e, nel frattempo, sul cruscotto si erano accese tutte le spie".

 

 

Dopo poco la Vectra era arrivata al limite. Tutte le spie dell'auto si erano accese e fu costretta a rientrare ai box. Di lì a pochi giri, Senna sarebbe uscito di pista: "L'incidente era avvenuto all'inizio del terzo giro dopo la ripartenza, quindi il settimo di gara, e non mi era chiaro se a quel punto le gomme avrebbero dovuto tornare alla giusta pressione e temperatura per garantire un buon grip". 

Angelelli racconta che nel dopo gara, quando arrivò la notizia della morte del pilota brasiliano, per togliersi ogni dubbio chiamò Gianni Morbidelli. Lui, che guidava Footwork, gli fece capire che non aveva colpe sull'incidente di Senna: "Le parole di Morbidelli sono state confortanti, ma non mi hanno messo la coscienza in pace. Per me è stato terribile: sembrava che Senna mi parlasse dall'abitacolo della Williams, tanto era chiaro il messaggio che mi mandava. Sono uscito dalla pista sentendomi quasi in colpa. È stato terribile".