Bilanci

Romelu Lukaku fa godere... l'Inter: il tradimento è stata una fortuna

Claudio Savelli

L’Inter conosce benissimo queste prestazioni di Romelu Lukaku, un gigante contro le piccole, un danno contro le grandi. Le ha vissute sulla sua pelle nelle due finali continentali, quella dell’Europa League con Conte in panchina e quella di Champions con Inzaghi la scorsa estate, e in alcune altre grandi sfide. Niente di nuovo, se non essersene liberati e avere un Thuram che prende vita al contrario di Lukaku: sorridendo, divertendosi, impegnandosi. Solo con un pensiero positivo si può reagire alle difficoltà che pure l’Inter ha vissuto all’Olimpico. Tra il campo zuppo, una Roma che - udite - prova ad attaccare- udite- di gruppo, la fatica e lo svantaggio, servono due attributi così. L’Inter li ha. De Rossi pure. La Roma anche. Lukaku? Non si direbbe.

"Non ci fosse stato" eccetera eccetera è un discorso che non ha senso di esistere, ma si possono annotare le porte che il belga fa girare dalla parte della sua ex. Due e decisive. La spizzata di testa nell’area difensiva è un assist ad Acerbi: anche un attaccante dovrebbe sapere come si rinvia il pallone. L’indecisione davanti a Sommer è tutta un programma: che faccio, tiro o rientro o dribblo, e alla fine non faccio niente. La Roma non lo ha preso per questo e dovrebbe iniziare a chiedere il conto dell’investimento a Lukaku, accolto come il messia e ora uomo in meno. Se ne accorgerà prima di un’Inter che ci stava per cascare di nuovo o sborserà i 30 milioni richiesti dal Chelsea in estate? Il belga è assente, vuoto di emozioni e poco rispettoso nei confronti di una squadra che, dietro di lui, si fa in quattro per mettere in difficoltà l’Inter. Un solista così è destinato a rimanere solo.

La prova del nove delle squadre è segnata dai Nove. Romelu no, Thuram sì. Il Santo Francese stupisce per la felicità con cui gioca, il suo sorriso dopo il gol che ricorda all’Inter di divertirsi in campo perché così vincere è più facile e la sua simpatica negazione del secondo gol, che era in realtà un’autorete di Angelino. La porta girevole di questi due attaccanti ricorda che il calcio non è solo tecnica, tattica e fisico ma anche e soprattutto emozioni. Più in generale, l’Inter era di fronte all’ultima curva di un mese folle, iniziato con il doppio impegno in Supercoppa con Lazio e Napoli, proseguito con la trasferta a Firenze e con la partita-scudetto contro la Juventus, e terminato nella Capitale su un campo zuppo che non agevolava il sofisticato palleggio nerazzurro. 

 

Prova superata anche perché in rimonta, come non era mai accaduto in campionato: nelle altre due occasioni in cui era andata in svantaggio, l’Inter aveva perso (Sassuolo) e pareggiato (Juventus all’andata). I giallorossi erano alla prima contro una grande con De Rossi alla guida e hanno dimostrato di potersela giocare alla pari almeno per un tempo, cosa a cui prima rinunciavano a prescindere, evidentemente non per loro volontà. Morale? La Roma fa 45’ perfetti, l’Inter 15’, alla prima non bastano, alla seconda avanzano. La differenza della partita, e del campionato, è tutta qui.