L'intervista

Matteo Manassero: “Vincevo a 18 anni, poi il baratro e la rinascita”

Leonardo Iannacci

Jannik Sinner sta toccando il cielo con un dito in questi giorni come era accaduto anni fa a un altro enfant prodige, ma del golf. Nel 2010 il 18enne Matteo Manassero pareva destinato all’estasi, vinceva sempre ed era un Jannik con mazza, palline e caddie al seguito. Poi è entrato in un tunnel oscuro che ha rischiato di fargli perdere la via giusta. Era in piena crisi. Oggi30enne, Manassero è tornato nel circuito golfistico. E ci racconta come è rispuntato il sereno sul suo green.

Matteo, buongiorno: sta seguendo quello che sta succedendo attorno a Sinner?
«Premetto, ero in Bahrein per un torneo ma ho seguito da vicino il suo trionfo. E sono felicissimo per Jannik».

È già iniziata la stagione golfista?
«Sì, sono andato molto bene a fine 2023, ora ho disputato due tornei così così ma sto cercando la forma migliore».

Lei a 17 anni era già professionista: troppo presto?
«Fu una scelta naturale e inevitabile. Avevo in mente solo l’European Tour, confrontarmi e vincere con i più forti».

Il golf come ossessione: leggenda narra che lei abbia giocato contro il mago Ballasteros quando aveva solo 5 anni.
«Tutto vero. Seve è il mio idolo, il giocatore al quale mi sono sempre ispirato per tenacia, creatività e carisma. Vestivo anche come lui nell’ultimo giorno di gara: pantaloni verdi e polo bianca».

Lei è stato un Sinner del golf: da ragazzino pareva destinato a spaccare il mondo quando infranse ogni record vincendo quattro tornei dell’European Tour. Poi cosa è successo?
«All’epoca avevo l’incoscienza dei miei 17-18 anni, era facile vincere, mi veniva naturale e istintivo giocare bene e ottenere risultati. Poi sono iniziati i guai».

Arrivò a un punto che ogni minimo inciampo diventava un abisso?
«Ho iniziato ad avere problemi tecnici e la fiducia nelle mie capacità è venuta meno. Mi sono sentito vulnerabile».

Un rimpianto?
«Dopo le prime vittorie avrei dovuto fermarmi e accrescere le basi tecniche e non basarmi sulle sensazioni avute in gara. Il golf non mente».

La stessa cosa la può rischiare Sinner?
«Non direi. Mi sembra una situazione diversa, Jannik è di un livello altissimo come atleta e come uomo, gestisce le situazioni alla perfezione».

Ad esempio?
«Nella scelta di cambiare tutto lo staff quando le cose, per lui, stavano andando bene. Ha avuto coraggio».

Anche lei ha scelto nuovi allenatori e preparatori?
«Sì, ma a differenza di Sinner l’ho fatto perché le cose stavano andando male. Sono rinato grazie all’aiuto di un gruppo di lavoro composto da nuovi coach, da preparatori atletici e mentali di livello».

Ha cambiato staff per necessità, non solo per rifinire la tecnica?
«Sì. Avevo bisogno di resettare tutto per dare una svolta e ricostruirmi. Sinner solo per migliorare il suo tennis e scalare il ranking».

Ha avuto il mondo ai suoi piedi, come Jannik ora, poi il crollo. Ci ripensa?
«Mi sono dato una risposta: non ho più avuto punti di riferimento nel gioco e mi sono trovato spiazzato e in balia di quello che mi succedeva».

Cosa l’ha salvata dall’oblio, ora che ha 30 anni ed è tornato al top?
«L’amore per il golf e la voglia di tornare al livello iniziale».

Chi l’ha aiutata?
«Molte persone importanti sono state fondamentali nella mia ricostruzione, prima di tutto la mental-coach Alessandra Verna. Il maestro Soren Hansen ha gestito l’aspetto tecnico e anche Roberto Zappa».

Un consiglio che si sente di dare a Sinner?
«Penso non ne abbia affatto bisogno. Quello che posso suggerirgli è di non temere se una partita o un torneo vanno male. Potrebbe essere fuorviante ma non per lui che ha come credo il miglioramento costante, giorno dopo. È forte».

In Jannik dove ha visto il fuoriclasse?
«Nella maturità espressa in questi ultimi tempi. E che lo aiuterà se incapperà in qualche piccola delusione. Sinner è solido, lo ammiro molto per questo. Ha bene in mente cosa fare, non ha bisogno di consigli. E poi la mia è tutta un’altra storia».