Le ultime ore
Gigi Riva, quell'esitazione sull'intervento costata la vita a Rombo di Tuono
Chi lo conosceva bene lo descrive ancora adesso, anzi soprattutto adesso, proprio così: coerente e solitario come può essere soltanto un mito vivente, e però così pieno d’umanità da diventare per tutti quasi un parente, un uomo degno di fiducia assoluta - e che non si dica che sono tante, le persone così. Il suo viso antico e i tratti scolpiti che lungo i 79 anni erano diventati ancor più lignei, e sempre quella “ruga lungo il viso come una specie di sorriso”, come cantava il suo amico De André: un aspetto incorruttibile, anche nel senso fisico del termine, che celava ai più le sue umanissime debolezze. Gigi Riva, per esempio, aveva parlato senza remore della sua depressione, «una parola che fatico persino a pronunciare», diceva. E però conscio dei suoi «fantasmi», come li chiamava: prima il baratro, dopo i trent’anni e l’abbandono dei trionfi calcistici («e mi sono sentito perso»); poi il recupero, soprattutto grazie ai suoi due figli Nicola e Mauro; quindi la depressione che «è regredita, tornando a manifestarsi ogni tanto ma non in quella misura. Un problema di testa con cui ho imparato a convivere. Mai del tutto, perché quando si rifà vivo rimane un brutto avversario da affrontare».
Gigi mitologico e però umanissimo, dunque. E le circostanze che stanno emergendo riguardanti le sue ultime ore lo rendono se possibile ancora più vicino a tutti noi. Aveva paura, il grande Gigi Riva. Prima l’attacco di cuore in piena notte, lo scorso 21 gennaio, la corsa all’ospedale di Cagliari. Lui appariva lucido, riferiscono i medici, persino sereno. Peraltro, anche il primo bollettino suonava quasi tranquillizzante. Aveva dormito, il campione, si era svegliato e addirittura si lamentava con la compagna di una vita Gianna perché non poteva accendersi l’immancabile sigaretta, vizio che per tutta la vita l’ha accompagnato. Lamentele che aveva espresso persino al direttore sanitario. Incorreggibile. Ma la coronografia, a metà mattina, aveva rivelato una situazione da non sottovalutare. Anzi. Dopo un consulto fra dottori, il direttore del reparto di cardiologia Marco Corda aveva proposto a Riva di sottoporsi a un intervento di angioplastica, che in sostanza serve a dilatare dei vasi sanguigni ormai troppo ristretti per garantire il sufficiente afflusso di sangue al cuore.
Una situazione per la verità piuttosto usuale nei reparti di cardiologia, tanto che l’operazione viene svolta in genere in anestesia locale. Ma Gigi era preoccupato. Aveva un po’ di paura, come succede a quasi tutti noi. Per l’appunto: così mitico e così umano. E dunque, Riva aveva preso tempo, «ci voglio pensare, ne devo parlare con i miei cari», così ha risposto al medico. Lo stesso professor Corda precisa che in realtà gli aveva prospettato quali avrebbero potuto essere i rischi, «l’ho avvertito che, senza intervento, avrebbe rischiato il decesso. Lui mi ha confermato che preferiva pensarci e parlarne prima con i familiari». Testardo come un sardo.
Il suo consenso era ovviamente necessario, per procedere con l’operazione. E però, dopo aver sentito moglie e figli, pare si fosse finalmente convinto. Dicono che il figlio Nicola si fosse mostrato sollevato - «papà lo operiamo domattina - avrebbe detto - così ci leviamo questo pensiero. Per fortuna la cosa si può risolvere». Il destino non è un tifoso, e di certo non ha rispetto dei miti - o perlomeno, non ci è dato saperlo. “Domattina” non sarebbe mai arrivata: alle 17.50 si è verificato l’arresto cardiaco. Si è tentato di tutto, per tenerlo ancora in campo. Più di un’ora di massaggi cardiaci e tentativi. Inutili: alle 19.10 Gigi Riva era deceduto. Giuseppe Tamosini, componente della mitica squadra del Cagliari che conquistò l’incredibile scudetto nel 1970, lo conosceva bene, Rombo di Tuono. Anche lui era arrivato in Sardegna da ragazzo, anche lui in Sardegna ha poi messo radici. «Credo che abbia scelto di morire - dice adesso, - Gigi è uno che la sua vita l’ha sempre gestita lui. Contro tutto e contro tutti».