l'intervista

Eriksson: "Io e Vialli colpiti dallo stesso male, voglio vivere ancora"

Hoara Borselli

La notizia è arrivata come una frustata. Sapete perché? Perché Sven Goran Eriksson, svedese, 75 anni, è un tipo speciale. Ha allenato tante squadre di calcio in tutto il mondo, a livello altissimo, ma a differenza di molti altri personaggi dello sport non si è mai fatto nemici. Il suo stile, la sua gentilezza, la sua cultura, le sue doti professionali ispirano affetto, vicinanza, stima. La notizia, che lui stesso ha dato, è che ha un cancro inoperabile. Si è addirittura letta una scadenza: un anno di vita. Come fai a non crollare di fronte a una botta così? Lui non è crollato. L’ho raggiunto per telefono perché sta in Svezia. Ha accettato di parlarmi nel suo italiano un po’ inglesizzato. Senza pianti, senza vittimismi. Ha parlato poco della malattia e molto di calcio. Sven è ancora innamorato pazzo del suo mestiere, per lui il calcio è la vita. Ha giocato a pallone fino a 28 anni poi è diventato allenatore, ha preso il Goteborg, squadretta svedese all’epoca, quando aveva appena 30 anni, e ha vinto un trofeo europeo. Poi è sceso al sud: Italia, Portogallo, finché non ha attraversato la Manica ed è sbarcato in Inghilterra. In Italia ha allenato la Roma, la Fiorentina, la Sampdoria, e poi la Lazio, con la quale ha trionfato. Riportandola allo scudetto dopo 26 anni.

Eriksson, quale è il suo stato d’animo?
«Devo continuare a vivere finché si può».

Come sta vivendo questo momento?
«Sto vivendo in condizioni abbastanza normali. Se mi chiede come sto rispondo: Sto bene. Voglio vivere cercando di non pensare troppo alla mia malattia».

Hanno scritto che le rimarrebbe un anno di vita. Ma è vero?
«Io non ho chiesto quanto tempo mi resta da vivere. Non mi hanno detto un mese o sei mesi o un anno. L’unica cosa certa è che ho un cancro che non si può operare. Quello che possiamo fare è cercare di rallentare la sua evoluzione con le medicine ed evitare che cresca velocemente».

Lei è da sempre una persona positiva e lo è anche adesso che mi parla della sua malattia. Dove trova tutta questa forza?
«Io ho avuto una vita alla grande, soprattutto quella professionale, nel calcio. Una vita meravigliosa, stimolante e piena di soddisfazioni. Una volta scoperto il cancro le strade erano due: stare chiuso in casa a piangere o continuare a vivere. Io ho scelto di continuare a vivere il più possibile senza pensare più di tanto alla malattia».

Se dovesse fare un bilancio, lei crede che la vita con lei sia stata generosa?
«Ho avuto una vita molto ricca, il calcio mi ha dato moltissimo, ho girato il mondo, ho avuto la possibilità di allenare tante grandi squadre, e anche delle nazionali. Sono un uomo fortunato. Certo, questo male non è stato una gran fortuna ma si deve accettare».

La sua famiglia, i suoi figli, come hanno reagito alla notizia della sua malattia?
«Ho parlato ai miei figli di ciò che stava accadendo senza nascondergli nulla. Per loro non è stato facile, ma la vita continua e voglio viverla al meglio anche per loro. Io continuo a combattere fino alla fine».

Professionalmente quale pensa sia stato il suo più grande successo della vita?
«Credo di avere avuto tre grandi successi nella mia vita. Senza dubbio lo scudetto con la Lazio, la coppa Uefa con il Goteborg, e poi, molto tempo fa, la mia esperienza con la nazionale inglese. Non abbiamo vinto nulla, però è stato per me un grandissimo onore averla potuta allenare».

Nella sua vita c’è solo il calcio o c’è anche altro?
«La mia vita è stata dominata per il 90% dal calcio. Ovviamente calcio, famiglia, figli».

È stato uno degli allenatori vincenti più giovani della storia. I successi col Göteborg quando aveva 30 anni?
«È stata per me una sorpresa enorme perché tutti i giocatori che ho avuto facevano altri lavori, non erano professionisti ed erano pagati poco e niente.
Quando abbiamo iniziato quel torneo nessuno aveva pensato di vincere quella competizione. E invece abbiamo battuto le più grandi squadre professionistiche. Una sorpresa clamorosa per tutti, anche per noi».

Il calcio di oggi è cambiato molto rispetto a quello dei suoi tempi. Pensa che girano troppi soldi?
«Prima la Cina, oggi i paesi Arabi che investono moltissimo. Lo hanno sicuramente cambiato rispetto a prima ma è un cambiamento inevitabile. Tanti anni fa arrivavano molti soldi dalle televisioni, e per questa ragione si sono alzati gli stipendi dei giocatori. Poi sono arrivate persone come Abramovic, che ha comprato il Chelsea, investendo una quantità enorme di soldi. Infine è toccato alla Cina e adesso tocca all’Arabia. Penso che tutto questo non si possa fermare. Meglio averne di soldi dentro il calcio che non averne. Il calcio è forte, è sulla strada giusta. La Premier League è la numero uno in questo momento. Ci sono grandi giocatori e grandi partite in Inghilterra, ma anche in Spagna e in Italia c’è un grandissimo calcio».

C’è un presidente con cui ha lavorato che lei è rimasto nel cuore?
«Sicuramente Cragnotti. Senza di lui sarebbe stato impossibile vincere. Ha fatto cose straordinarie perla Lazio. Qualunque cosa io chiedessi lui mi accontentava. È chiaro che se un presidente e un allenatore vanno d’accordo e ci sono i soldi che ci permettono di prendere bravi giocatori, non si possono non fare grandi cose».

Qual è il suo ricordo più bello in Italia?
«Senza dubbio lo scudetto con la Lazio. Lo porto nel cuore come uno dei ricordi più belli della mia vita».

Chi sono stati secondo lei i tre campioni più forti di tutti i tempi?
«Pelé, Maradona e Messi».

Qual è il grande rammarico di Erikson, se c’è stato?
«Sicuramente la sconfitta con la Roma a Lecce. Sembrava tutto fatto per vincere quella partita che ci avrebbe regalato lo scudetto. 1986. 3 a 2. Una sconfitta che i giocatori hanno accusato parecchio. Regalammo il titolo alla Juve».

Chi è secondo lei l’allenatore più forte?
«Il Manchester City l’anno scorso ha vinto tutto ed è chiaro che il suo allenatore può essere definito in assoluto il più forte del mondo: Pep Guardiola. Anche se tu hai uno squadrone, se hai i soldi per comprare l’impossibile, è veramente difficile vincere tutto come ha fatto il City».

Chi è stato il suo maestro se c’è mai stato?
«Tord Grip. Mio assistente quando allenavo la Lazio».

Lei è sempre stato definito un allenatore modello di stile e di eleganza. Una dote ereditaria o acquisita con il tempo?
«Grazie mille per queste parole. Questo è il mio stile da sempre, io sono fatto così. Per me è naturale essere così».

Se lei oggi potesse tornare ad allenare, quale squadra sceglierebbe?
«La Lazio di allora».

C’è invece una squadra che avrebbe voluto allenare?
«Il mio sogno sarebbe stato quello di allenare il Liverpool ma ora è troppo tardi (ride). Sono stato tifoso del Liverpool da quando ero piccolo».

Ma secondo lei chi lo vincerà lo scudetto quest’anno?
«L’Inter è una grandissima squadra».

Lei ha avuto una breve carriera da giocatore ed è stato un difensore. Per vincere lo scudetto servono i difensori o gli attaccanti? Nesta o Mancini?
«Servono tutti e due. Se non difendi bene ti fregano e se non attacchi bene non fai gol. E ovviamente serve anche un bravo portiere».

Qual è il suo primo programma futuro?
«Voglio svegliarmi tutte le mattine per tanto tempo e stare bene. Voglio continuare a viaggiare per il calcio e guardare più partite possibili».

Lei si fida della scienza?
«Sì, mi fido molto della scienza».

Ma lei ha la speranza di guarire?
«Io so perfettamente che il mio male non si può curare. La mia vera speranza è quella di poter vivere tanto tempo ancora».

È lo stesso stesso male che ha colpito Vialli se non sbaglio.
«No, non sbaglia. È così».

Tutto il mondo si è stretta intorno a lei appena è trapelata la notizia della sua malattia. Vuole dire qualcosa a tutti coloro che sono preoccupati per lei?
«Voglio semplicemente dire grazie a tutti. Questo immenso amore mi arriva e mi riempie il cuore di gioia. Do appuntamento a tutti in un grande campo di calcio prima o poi».

E un messaggio a chi sta vivendo come lei la sua stessa malattia?
«Forza! Non perdete la fiducia, continuate a lottare cercando di vivere ogni giorno il meglio possibile: il meglio possibile. Mi auguro che le persone soffrano il meno possibile»