L'ex ct azzurro

Mancini, un altro disastro dietro l'angolo: perché il calcio arabo è un flop

Claudio Savelli

L’Arabia Saudita ha tempo fino al 2034, data in cui è favorita per ospitare i Mondiali, per diventare il miglior campionato del mondo. Ma deve già recuperare terreno perché con i soldi del principe Mohammed bin Salman si può comprare tutto ma non tutto quel che compri funziona. Gli ascolti tv della Saudi Pro League sono bassissimi. In Italia, La7 e Sportitalia che ne hanno comprato i diritti per le migliori partite della giornata, hanno raggiunto al massimo 155mila spettatori per una partita, ma la media ora è tra i 50 e i 70mila utenti e, sfumata la curiosità iniziale, è destinata a calare. Le presenze allo stadio non compensano: la sfida tra l’Al-Ettifaq allenato da Gerrard e l’Abha Club in cui milita Tatarusanu si sarebbe tenuta davanti a 976 spettatori. Certo, le grandi come l’Al-Ittihad (30mila presenze), l’Al-Hilal (26mila) e l’Al-Nassr di Cristiano Ronaldo (21mila) fanno buoni numeri, ma giocano in stadi da oltre 60mila posti che risultano sempre vuoti per metà, rovinando le riprese televisive. Il paradosso è che la media spettatori generale si sarebbe addirittura abbassata, stando ai dati Transfermarkt: dai 10.197 dello scorso anno agli 8.477 attuali.

PRIME CRITICITÀ
Il modello di acquisto a tappeto dall’Europa sta mostrando le prime criticità. I nuovi campioni, pochi (circa 80 su 535 tesserati, non più del 15%) e troppo più forti rispetto a quelli che già c’erano, creano un divario agonistico imbarazzante in termini di spettacolo. Non si diverte nessuno. Secondo The Sun, molti fuoriclasse «vorrebbero scappare» perché «odiano ogni minuto del loro tempo trascorso in Arabia». In più possono farsi male da un momento all’altro generando buchi sia in termini di appeal sia economici, come successo con Neymar (ingaggio da 80 milioni all’anno più corposi bonus) che in Nazionale si è rotto i legamenti del ginocchio e ne avrà per almeno un anno. Il brasiliano cade come il campionato arabo mentre l’alter ego argentino Messi vola come la lega che ha deciso di sposare in estate, la Mls. E pensare che Leo, già ingaggiato per promuovere il turismo arabo, era l’ultimo tassello del mosaico del principe.

 


Ma nell’estate in cui tutti sono andati in Arabia, Messi ha scelto la rotta opposta fino a Miami, in controtendenza e apparentemente fuori dal tempo. Invece ha trovato un campionato che sta crescendo in modo organico, produce sempre più talenti perle nazionali statunitense e canadese in vista dei prossimi Mondiali, che saranno proprio lì, e attira gli spettatori più giovani, sottraendoli a baseball e basket anche grazie all’accordo decennale da 235 milioni a stagione con Apple Tv per la diffusione globale delle partite. Così Messi è rimasto competitivo, trascina l’Argentina nelle qualificazioni (doppietta al Perù e punteggio pieno e a +5 sulla Seleçao) ai Mondiali 2026 nei quali, a 39 anni, potrebbe ripresentarsi da capitano campione in carica. Vincerà il Pallone d’Oro per quanto fatto in campo, malo meriterebbe anche per la scelta.