Tecnico sotto pressione
Pioli senza scuse, Milan fatto su misura: perché non può fallire
Stefano Pioli ha detto chiaro e tondo che i dirigenti «l’hanno ascoltato» e hanno acquistato i giocatori che lui aveva indicato. Si è assunto la responsabilità del mercato e quindi di un Milan molto diverso rispetto a quello dell’anno scorso. Tra le righe si può leggere che prima non era così, che i giocatori non li sceglieva lui, che erano Maldini e Massara ad individuarli. Magari rispettavano le caratteristiche richieste ma non erano i nomi che aveva in mente Pioli. Stavolta sì, almeno secondo quanto ha dichiarato alla vigilia della sfida al Bologna. Una sfida che piega verso il Milan grazie ai flash di Pulisic, uno di quei nomi.
Che Pioli fosse scontento dei rinforzi della scorsa estate è stato chiaro per un anno: a parte Thiaw, li ha emarginati tutti, fino a chiedere la loro cessione ad una dirigenza nuova che non aveva problemi a smentire il lavoro di quella precedente, anzi, non vedeva l’ora di tracciare una linea di confine. Pioli ha indicato gli errori altrui ma ha anche ammesso che il Milan dello scorso anno aveva qualche difetto tattico. Il mister si è reso conto che il 4-2-3-1 è insensato se da un lato c’è Leao che non partecipa alla fase difensiva e se, per trovare una parvenza di equilibrio, serve un esterno di passo come Saelemaekers a destra che andrebbe bene in un 3-5-2. Il gioco pendeva clamorosamente a sinistra e agli avversari bastava bloccare una fascia per inibire il Milan intero. In più, avere un trequartista che non sempre fa la differenza è un lusso che nel calcio contemporaneo non ci si può permettere.
La soluzione è stata il passaggio deciso al 4-3-3 attraverso l’addio dei trequartisti (Diaz e De Ketelaere), l’epurazione degli esterni di fascia (Saelemaekers è sul mercato dopo l’addio di Messias) e l’ingaggio di una batteria di ali e attaccanti con una caratteristica comune: l’uno contro uno. Pioli crede che iniettarsi fino all’overdose la qualità più carente del campionato italiano possa portare al successo, e l’idea ha senso. Ma è una scommessa. Il rischio è che i duelli diventino l’unica via verso la rete, che la squadra via via si innamori di quel senso di onnipotenza offerto dai dribbling e si disabitui ad un gioco corale, pagandone dazio nella partita storta dei dribblatori o nella giornata di grazia della difesa avversaria. Pioli lo sa e ha tamponato questo rischio con Reijnders. Basterà?