Tennis

Jannik Sinner, "può vincere gli US Open ma...": la minaccia-Alcaraz

Jannik Sinner ha finalmente scollinato, per utilizzare una metafora ciclistica. A Toronto ha vinto il primo Masters 1000 della sua ancor verde storia tennistica. In finale, nella notte fra domenica e ieri, ha triturato il malcapitato australiano De Minaur in due set (6-4, 6-1) scalando il numero 6 del ranking mondiale come Berrettini due anni fa. Una liberazione per il ragazzo di San Candido che compirà 22 anni domani e che si è liberato di una maledizione: sinora aveva mancato sempre l’obiettivo top, lui considerato un predestinato. Ora ce l’ha finalmente fatta. Con Paolo Bertolucci cerchiamo di analizzare il futuro di questo talento, troppe volte criticato. Spesso a torto, talvolta a ragione.

Bertolucci, Sinner è finalmente arrivato alla conquista di un 1000. Che significato ha questa vittoria?
«È sinonimo di serietà e di lavoro duro. Il ragazzo ha talento per il tennis moderno. A 22 anni ci si chiedeva perché mai Jannik non fosse ancora arrivato al top».

È nella top-ten del mondo da mesi...
«Vero. Ma, senza scomodare Alcaraz, mi chiedevo perché mai un Rune che ha due anni in meno fosse già riuscito a conquistare un torneo 1000 e Jannik no. Ora ha colmato questa lacuna».

Sinora si era preteso troppo da Sinner?
«Forse. Ma la classifica Atp parla chiaro. Un conto è essere numero 6 e un altro numero 1,2 o 3. Jannik deve ancora migliorare anche se vittorie come questa sono beneauguranti».

A Toronto è stato aiutato da un tabellone agevole...
«Altre volte il tabellone lo aveva ostacolato, peró: in Canada gli si è aperta un’autostrada con le eliminazioni in serie di Medvedev, Auger-Aliassime e dello stesso Alcaraz. Ma lui ne ha approfittato con merito battendo giocatori che hanno una classifica inferiore. Come a Wimbledon dove è arrivato in semifinale».

Negli ultimi mesi Jannik è migliorato tecnicamente: in quali colpi?
«Nel servizio, innanzitutto: ha perfezionato la posizione dei piedi, il lancio della palla. E poi nel gioco a rete, ora più fluido. La qualità della risposta è sempre di livello, simile a quella di Djokovic, ma deve ancora perfezionare il back per cambiare la velocità degli scambi».

Il suo allenatore australiano Cahill ha grandi meriti in ciò?
«Indubbiamente. Penso che a un tennista faccia bene cambiare ogni 3-4 anni, perché ascoltare lo stesso coach ogni giorno alla fine stanca»”.

Jannik ha vissuto una primavera difficile, deludendo a Roma e Parigi. Come mai?
«È stato frenato dalla tensione e dalla terra rossa, non la sua superficie preferita. Jannik ha trovato la propria dimensione tecnico-tattica sul cemento e sull’erba».

Può vincere uno Slam, a questo punto?
«Sì, migliorando alcuni dettagli del suo tennis può vincere gli US Open o in Australia».

Ora affronterà il torneo di Cincinnati, un altro 1000 in preparazione degli US Open di New York. A cuor leggero?
«Intano passerà dal fresco canadese al caldo torrido dell’Ohio ma non dovrà spaventarsi se, dopo la grande vittoria in Canada, commetterà un passo falso».

Jannik ha già battuto in passato Alcaraz ma, nel 2024, può arrivare al livello tennistico dello spagnolo?
«Oggi Carlitos è di un altro pianeta. Pensate, ha il doppio dei punti nel ranking rispetto a Jannik e dimostra una completezza tennistica incredibile. Non paragonatelo a Nadal, non c’entra nulla: Rafa è sempre stato un campione che faceva della sofferenza la sua arma migliore, Alcaraz è divertimento in campo, invenzione».

Il panorama del tennis mondiale sta cambiando protagonisti: come vede l’imminente futuro del 36enne Djokovic?
«Nole è un fenomeno e da lui possiamo aspettarci di tutto ma a Wimbledon ha preso una brutta botta psicologica perdendo in 5 set la finale. L’ho visto quasi rassegnato al cospetto di Alcaraz, senza rabbia. Ho pensato che, a una certa età, questo può essere sintomo di un crollo improvviso».

Berrettini sta dando segnali di risveglio: sono reali o fuochi di paglia?
«A Wimbledon, dove tutto è più facile per un giocatore con le sue caratteristiche, si è ritrovato. Ma aspettiamo Cincinnati e gli US Open per giudicarne il recupero».

Musetti resterà l’eterna promessa mancata?
«Lorenzo deve decidere cosa fare da grande. L’età è dalla sua parte ma l’estetica nel tennis conta sino a un certo punto se non sei Federer. Musetti deve programmare meglio la stagione, non saltare qua e là da un torneo all’altro, passando dall’erba alla terra rossa, poi al cemento. Deve essere più regolare e prepararsi meglio e con concretezza. Come Sinner».