Di nome e di fatto

Cristiano Ronaldo rischia l'arresto: il gesto in faccia alle autorità islamiche

Daniele Dell'Orco

 Sotto il segno della croce l'Imperatore Costantino vinse la battaglia di Ponte Milvio e cacciò l’usurpatore pagano Massenzio. Oggi, un paio di millenni dopo, con il segno della croce un semidio contemporaneo come Cristiano Ronaldo ha sfidato l'autorità della monarchia islamica sunnita dell'Arabia Saudita. Per trascinare la sua squadra, l'Al Nassr (dove da gennaio guadagna 200 milioni l'anno) nella finale della Champions League araba, CR7 ha realizzato un rigore in semifinale contro l’Al Shorta ed ha esultato omaggiando la Trinità. Un gesto che è però vietato dalla legge coranica in vigore nella monarchia saudita. La fede cattolica di Ronaldo è cosa nota e, considerando la spontaneità di un gesto che ha accompagnato larga parte delle oltre 700 esultanze della sua carriera, è da escludere il modo categorico una vena provocatoria nei confronti di chi l'ha elevato al rango di divinità civica. Ma in Arabia Saudita i non musulmani non solo non sono autorizzati a pregare in pubblico, ma non possono promuovere la propria religione o mostrare oggetti legati al culto, come libri, simboli, immagini e nemmeno gesti.

Chi contravviene a queste disposizioni può essere accusato di fare proselitismo della propria religione e rischiare l'arresto. Nei casi più "estremi", come la diffusione di testi sacri di altre confessioni, è prevista persino la pena di morte. È molto probabile che a Ronaldo, il principale ambasciatore della nuova frontiera del calcio mondiale, non succederà nulla di diverso da una, magari più che tiepida, raccomandazione a non ripetere la stessa esultanza. Ma certo il fatto che i sauditi stiano importando a suon di petroldollari decine di calciatori europei e occidentali costringe la Corona ad un confronto interculturale per molti versi inedito. A Ronaldo, ad esempio, era già stato concesso il "permesso" di convivere con la sua compagna Georgina. I due, non essendo sposati, per legge non potrebbero condividere lo stesso tetto. Eppure a lui è stato concesso, come per la verità a molti altri stranieri accalappiati dall’Arabia per lavoro o per turismo.

 


DEROGHE
Altra "deroga CR7" è stata applicata lo scorso aprile quando l'ex Juve dopo una sconfitta contro l'Al Hilal mostrò ai tifosi avversari il gesto di afferrarsi i genitali, con tanto di ghigno alzando lo sguardo verso il pubblico di casa. Un legale saudita minacciò di presentare istanza al Pubblico Ministero di Riyad per punire un atto "pubblicamente indecente" che rientra tra i reati previsti per l'arresto e l'espulsione se commesso da uno straniero. Logicamente, non successe nulla di tutto ciò. Quest'anno poi, con l'arrivo di altri calciatori come Milinkovic-Savic, Brozovic, Malcom, Ruben Neves e chissà chi altro, il coefficiente cattolico si è alzato parecchio e le casistiche di deroghe diventeranno infinite.


Ma non tutti in Arabia hanno la fortuna di chiamarsi Ronaldo & Co. Anzi. In un Paese che nel 2022 ha giustiziato 196 persone, il numero più alto di esecuzioni annuali che Amnesty International abbia registrato negli ultimi 30 anni, la maggior parte dei cristiani è composta da stranieri che ci vivono e lavorano temporaneamente. Molti di loro provengono dal Quarto Mondo e oltre alle condizioni di vita già disumane possono essere presi di mira anche per la loro fede. Di base, tra l'altro, nel piano dichiarato dell'Arabia di puntare ad ospitare i Mondiali del 2030 e ripetere il mega-sportwashing intrapreso dal Qatar, il fattore religioso non viene posto così in secondo piano. Anzi. Basta scorrere la lista degli acquisti delle scorse settimane per contare almeno una ventina di stelle di religione islamica (tra loro Karim Benzema, N’Golo Kante, Kalidou Koulibaly, Riyad Mahrez, per non parlare della corte spietata alla bandiera di tutti i musulmani: Momo Salah) e rendersi conto che al principe Bin Salman trasformare la penisola che ospita la Mecca anche nella terra delle all-star islamiche non dispiacerebbe affatto.

 

 


SUPERARE IL QATAR
Ma il 2030 è troppo vicino e ora come ora l'Arabia Saudita non può fare a meno di Ronaldo (la Saudi Pro League vale il 150% in più da quando c'è lui), né di Messi (altro cattolico che degli arabi è ambasciatore del turismo) né degli altri gioielli cristiani del calcio occidentale. Non oggi che il "prodotto calcio" saudita deve essere esportato in tutto il mondo (in Italia, La7 ha chiuso un accordo biennale per trasmettere il campionato dei cammelli per 450mila euro, mentre la nostra Superocoppa italiana si giocherà in Arabia in quattro delle prossime sei edizioni). Ma viste le polemiche che hanno caratterizzato la prima Coppa del Mondo invernale della storia, per emulare il Qatar l'Arabia Saudita oltre ai dollari dovrà mostrare anche qualche passo in avanti nella tutela dei diritti umani. Proprio i calciatori potranno avere così un (involontario?) ruolo di mediatori culturali, facendo in modo di moltiplicare, anziché nascondere, i gesti come quello di Ronaldo, e pretendendo il rispetto e la valorizzazione non solo del loro talento con i piedi ma anche dei loro valori. Come quelli delle categorie più svantaggiate.