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Matteo Renzi: "Il calcio italiano è morto, ma non lo sa"

Roberto Tortora

È un tifoso accanito della Fiorentina e di sicuro ha ancora addosso il bruciore della ferita non rimarginata della sconfitta in finale di Conference League contro il West Ham. E, forse anche per questo, Matteo Renzi si sfoga sulla prima pagina del giornale che dirige, il Riformista, con un editoriale sul calcio italiano, in un periodo in cui si vive di calciomercato. Se una volta si sognavano campioni che dall’estero arrivavano in Serie A, oggi assistiamo all’esodo di tanti big del nostro campionato verso paradisi esteri.

Ecco, perciò, alcuni estratti del Renzi-pensiero: “Luglio era il mese in cui i tifosi sognavano con il calciomercato. E lo scudetto d’estate che i giornali assegnavano alla società più attiva era argomento su cui appassionarsi sotto l’ombrellone. L’Italia era l’eldorado dei giocatori più forti. I nostri figli non credono a questa verità: quando raccontiamo di Zico o Maradona ci guardano come se venissimo da un remoto pianeta, non solo dal secolo scorso. Eppure era davvero così. Se eri un campione dovevi giocare in serie A. Oggi è tutto finito e siamo diventati un vivaio per i campionati più forti. Quando uno è al top lascia l’Italia. E verrebbe voglia di chiedersi: ma perché? Già, perché? Non c’è una sola ragione… la verità è che dopo l’innovazione degli anni Ottanta il governo del calcio italiano è stato rigidamente conservatore… non si sono fatti investimenti sugli impianti, a cominciare dai centri sportivi, non solo dagli stadi. Si sono sottovalutati i percorsi per i giovani talenti – spiega il Direttore del Riformista - ignorando la funzione educativa e pedagogica dello sport. Si è scelto di non giocare per bene la partita dei diritti televisivi che costituiscono oggi la metà delle revenues di una squadra di Serie A. Di chi è la colpa? Come sempre di tutti e di nessuno. I tifosi vanno dove li porta il cuore, calciatori manager e presidenti – comprensibilmente – seguono il portafoglio”.

Ecco, allora, che Renzi entra nel territorio che più gli è consono, cioè la politica, e afferma: “Anziché favorire la realizzazione degli stadi, il Parlamento ha consegnato un assurdo diritto di veto alle sovrintendenze. Vanno giù il Maracanà, Wembley, il Camp Nou. Da noi non si può toccare la curva ferrovia dello stadio Franchi, perché un sovrintendente in vena di ironia ha deciso di mettere il vincolo anche su quella (inguardabile) parte dello stadio. E soprattutto la politica ha sbagliato quando ha pensato di lisciare il pelo ai presidenti, convinta che questa fosse la strada per ottenere consenso. L’ultima volta? Quando Lotito sette mesi fa ha ricattato la maggioranza dicendo: ‘o passa il mio emendamento sui soldi al calcio o non voto la legge di Bilancio’ persino la presidente presunta underdog Giorgia Meloni ha chinato il capo e in una legge di bilancio in cui si aumentavano benzina e sigarette ha scelto di mettere quasi un miliardo per spalmare i debiti alle squadre professionistiche. Non servono i soldi pubblici, per favore: fate mettere i soldi dai fondi privati per i diritti, cambiate la governance del calcio, togliete il giocattolino a chi si è impossessato del sogno più amato dagli italiani”. 

Renzi, infine, chiosa sui possibili scenari: “L’alternativa? La sparizione dell’Italia dal calcio che conta. Oggi in tanti parlano del ruolo dell’Arabia Saudita nel mondo sportivo. E chi di noi da anni sta dicendo che in quel Paese è in corso un cambiamento epocale sa bene che questo è solo l’inizio. Ma il problema non sono i 40 milioni che Lotito prende dall’Arabia Saudita per la vendita di Milinkovic. Il problema è che finché le squadre di calcio conteranno sugli emendamenti dei parlamentari anziché sui diritti tv e sul miglioramento del sistema non andremo da nessuna parte. I tifosi non sognano più nemmeno a luglio. Perché il calciomercato 2023 dimostra che il calcio italiano è morto e non lo sa. Qualcuno finalmente raccoglierà il grido di dolore?”.