Tre giorni alla finale

Inter-Manchester City, 126 milioni contro 638: le cifre che svelano il miracolo

Claudio Savelli

Dicono che per vincere la Champions League servano i soldi. Di certo aiutano ma non bastano. Servono soprattutto buone idee e sia il Manchester City sia l’Inter le hanno avute. Non si può dire lo stesso dei soldi. Dal punto di vista economico, a Istanbul si affrontano le due facce della medaglia del grande calcio europeo: chi può spendere quanto vuole, al punto da aggirare anche i paletti della Uefa, contro chi non può più farlo, se è vero che da due anni Suning ha chiuso i rubinetti e obbligato l’Inter a cavarsela da sola. Ecco perché se Marotta e Ausilio stanno elevando ad arte la ricerca dei parametri zero, la dirigenza del City forse non sa nemmeno cosa siano.

 

 


Si acquistano solo primizie indicate da Guardiola che, al solito, pratica il “maniavantismo”: «Se perdiamo non sarà un fallimento». Svincolati tra i suoi undici? Zero. Tra quelli di Inzaghi? Ben tre - Onana, Calhanoglu, Mkhitaryan - più Dzeko pagato solo in bonus (2 milioni). L’Inter schiera un giocatore in prestito (Acerbi) e ne ha uno come dodicesimo uomo (Lukaku). Entrambi sono arrivati in estate perché non c’era la possibilità di acquistare cartellini importanti a titolo definitivo. Di calciatori in prestito, il City non ne ha nemmeno uno. I nerazzurri, per reggersi ad alti livelli, contano su risorse di proprietà altrui e sono costretti pure a valorizzarle; i Citizens creano valore solo per loro stessi senza poggiarsi su terzi. Gli uni sopravvivono, gli altri se la godono. Lo dimostra anche l’età media della rosa: 28,5 per l’Inter contro 27 per il Manchester.

 

 

 

SETTORE GIOVANILE

Degli undici titolari di Inzaghi, sei sono stati pagati meno di 5 milioni perché ai quattro sopracitati vanno aggiunti Darmian, 3,3 milioni al Parma, e Dimarco, 5 milioni di controriscatto al Sion dopo averlo allevato nel settore giovanile. Il terzino è un’altra stortura dovuta alle difficoltà economiche: l’Inter per anni ha dovuto vendere i migliori talenti per racimolare plusvalenze, proteggendosi con il diritto di riacquisto, quando concesso. Il City non ha dovuto fare altrettanto con Foden: se l’è tenuto in rosa, a buon rendere. Per completare l’undici meneghino restano Dumfries (13 milioni al Psv), Lautaro (25 al Racing), Bastoni (31 all’Atalanta) e Barella (45 al Cagliari). Sono cifre alte per gli standard attuali in serie A ma minime per una finalista di Champions, tant’è che i cartellini dei titolari dell’Inter sono costati 126 milioni, quasi quanto il City ha pagato il solo Grealish (117,5 all’Aston Villa).

 

 

 

MENO CARO

Il meno caro nella formazione di Guardiola è Akanji, per cui sono serviti “solo” 17 milioni in estate perché era ad un anno dalla scadenza del contratto. Infatti aveva provato a prenderlo anche l’Inter: a quella cifra sarebbe stato il quarto più costoso in campo mentre per gli inglesi è l’ultimo. Difficile essere altrimenti se si passa allegramente ai 27 milioni sborsati per capitan Gundogan, ai 40 per il portiere Ederson, ai 50 per Bernardo Silva, ai 55 per Stones e Walker, ai 60 (più 25 di bonus) per Haaland e ai 70 per un mediano come Rodri o un difensore come Dias. Lo scontrino dei prescelti da Pep recita 638 milioni, cinque volte quanto sborsato dal club milanese. Per le panchine la differenza si assottiglia ma comunque esiste: 169 contro 272 milioni. Il fatto che all’Inter siano costate di più le riserve dei titolari indica che alcuni investimenti non sono andati a buon fine, tra tutti i 30 milioni spesi per Correa, e che alcuni acquisti d'altri tempi, vedi Skriniar pagato 34 milioni e giunto all’ultima gara in maglia nerazzurra, sono stati rimpiazzati con soluzioni low-cost. Anche il monte ingaggi quantificala differenza: 75 milioni netti per l’Inter contro i 216 per il City. Sono i numeri utili per misurare la diversità tra le due società ma al fischio avranno un’importanza pari a zero. A quel punto inizierà una sfida di nervi e i numeri, semmai, bisognerà evitare di darli.