Pagellone

Milan, Stefano Pioli "non merita la sufficienza": perché il mister è da bocciare

Claudio Savelli

Manca una giornata al termine del campionato e quasi tutti i verdetti sono archiviati. Si può dare il via al valzer dei giudizi, a patto di non cadere nel tranello del vecchio calcio secondo cui contano solo i risultati. Ora c’è altro. C’è un bene molto più prezioso che è la competitività ai massimi livelli sul lungo periodo. Poi c’è la capacità di attirare i tifosi a sé, vera linfa vitale di un club in questi anni di carestia finanziaria, con un gioco attraente. E, ancora, c’è la valorizzazione dei giocatori a disposizione, gli asset più importanti della società. Gli allenatori vanno giudicati per tutte queste cose, oltre che per i risultati raggiunti.

Ciò premesso, che voto meritano Allegri e Pioli, che si affrontano allo Stadium in uno scontro diretto per l’ultimo posto disponibile per la Champions? Dipendesse solo da quest’ultima, il rossonero sarebbe da applaudire e il bianconero invece da mettere dietro la lavagna in punizione ma, come detto e come più o meno disse qualcuno, non è da questi particolari che si giudica un allenatore. È insufficiente la stagione di entrambi, seppur abbiano alibi e attenuanti. Ne saranno consapevoli anche loro, anche se non lo ammetteranno mai. L’errore comune è stata l’esaltazione iniziale. Nel caso di Allegri è stata dettata dal suo ego, per Pioli invece è nata dallo scudetto vinto. Hanno gonfiato le aspettative fino a rimanerne vittime. Non avessero alzato i toni in estate - l’uno, Allegri, fissando l’obiettivo nel tricolore e l’altro, Pioli, nel «fare meglio dello scorso anno», cosa impossibile se lo scorso anno hai vinto il campionato -, oggi potremmo parlare più serenamente di un sei in pagella portato a casa. Né più né meno, senza infamia né lode, ma nemmeno un disastro. È vero che Allegri ha lavorato in un’annata folcloristica, come da lui definita, senza dare di matto ed evitando che la squadra sprofondasse. Non era scontato. Ma senza un biennale ancora da consumare, qualunque dirigenza avrebbe optato per l’esonero.

 


Oltre ad un primo posto mai nemmeno sfiorato, la Champions è stata una tragedia, l’Europa League mai brillante e la Coppa Italia persa sul più bello con due gare veramente grigie contro l’Inter. Il fatto grave è il gioco improvvisato, l’impressione chiara a tutti che il 3-5-2 sia stato un modulo di ripiego più che un primo mattone per costruire la squadra del futuro, tant’è che contro il Milan si vede un inedito 3-4-3, e il distacco totale del pubblico nei confronti della squadra. Non c’è più entusiasmo attorno alla Juve mentre ce n’è ancora un po’ verso il Milan. Certo, il delirio per lo scudetto è un lontano ricordo e ora serve ragionare sul futuro in modo scientifico, senza farsi condizionare dai sentimenti di un anno fa. La squadra ha bisogno di un rinforzo di livello in ogni reparto. Gli altri tecnici delle grandi sono tutti sopra la sufficienza, senza che ci sia bisogno di ricordare le lodi meritate da Spalletti. Chi è arrivato dietro in campionato come Mourinho o Italiano ha la possibilità di vincere una coppa europea. Inzaghi, che in serie A ha perso troppe gare, ha alzato due coppe in stagione, può fare tris e, soprattutto, è uscito da un periodo oscuro con le sue forze. Se la crisi d’inverno non lo ha ucciso, di sicuro lo fortificherà. Chi è arrivato davanti, come Sarri, ha deluso in Europa, ma ha portato il rendimento della squadra oltre le sue effettive possibilità. Il paradosso? Forse un paio dei promossi cambieranno panchina. Difficilmente lo faranno i bocciati.