Confessione

Chivu, dramma segreto: "All'Inter chiedevano a mia moglie se..."

“Prendevo gli psicofarmaci e i miei compagni temevano picchiassi mia moglie”. Il racconto shock di Cristian Chivu delle ultime ore, che in un’intervista a Sportitalia ha parlato per la rubrica "Mister Si Nasce". Il rumeno ha parlato di tutto: dalle sue esperienze nei club in cui ha giocato in carriera, al paragone tra due grandi allenatore che conosce molto bene, Luciano Spalletti e José Mourinho, fino a quel 6 gennaio 2010, il giorno della sua rinascita. La data chiave nell’intervista è il 6 gennaio 2010, il giorno della sua rinascita dopo la frattura al cranio riportata durante Chievo-Inter: "Non è stato un momento facile da gestire — ha detto l’ex Roma —. Poteva finire tutto, ma nella sfortuna, sono stato fortunato. Ci è mancato poco e non sarei riuscito più a parlare o a muovere la parte sinistra del mio corpo. I giorni di convalescenza, le mille domande che mi facevo, l'incertezza di non essere più un calciatore professionista, ma con la fortuna di essere ancora un uomo normale. Mettevo sulla bilancia le due cose, per fortuna sono ancora qua”.

 

Il pugno a Marco Rossi, la litigata con Rafa Benitez

Il post-infortunio non è stato per nulla semplice: "Dopo due mesi e mezzo ero in campo, con tutte le mie paure e incertezze del caso — ha aggiunto Chivu —. Giocando soffrivo soprattutto nel colpo di testa. Tutto ciò che ho dovuto subire dopo con tutte le medicine che prendevo mi avevano portato a fare delle cose che non appartenevamo a me. Come i gesti osceni fatti dopo la partita di Coppa a Roma, il pugno a Marco Rossi, la litigata con Rafa Benitez. Nessuno però sa che prendevo delle medicine che mi toglievano i filtri”.  

 

Chivu: “I compagni chiamavano a casa e...” 

E ancora: “Mi ricordo che i miei compagni chiamavano a casa mia moglie e le chiedevano se tutto fosse apposto — ha concluso il difensore —. Se io a casa ero aggressivo, se mettevo le mani addosso. Questo ci tengo molto a chiarirlo, perché poi vengo giudicato per uno che è andato a Roma a fare quei gesti osceni nonostante abbia chiesto scusa. Il pugno a Marco Rossi è stato come un primo istinto animale, ma c'è un perché: dintoina. Avrei dovuto prenderli per due mesi, ma li ho portati avanti per nove mesi. Ci tenevo a dirlo".