Rimpianti azzurri

Milan, la mossa "sporca" che condanna Napoli e Spalletti: il retroscena

Claudio Savelli

Se il campionato si vince con il gioco, la Champions si vince con le giocate. Nel caso dello scontro tra Milan e Napoli sono due quelle decisive: non i coast-to-coast di Leao al Maradona e di Brahim Diaz nell’andata del Meazza, identiche come se gli sceneggiatori del calcio volessero sottolineare la questione, ma le giocate mancate che le hanno rese possibili. Ovvero i “falli tattici” non commessi da Lobotka-Mario Rui prima e da Ndombelé-Di Lorenzo poi. Sì, anche il fallo tattico è una giocata e, quando l’equilibrio è sottile come in Champions, può essere decisiva quanto un tiro, un dribbling, un assist.

 

 

È un gesto “sporco”, meno nobile, un fallo pensato e ottenuti e quindi una scorrettezza con un sapore antisportivo, ma non è un crimine né una scorrettezza: il regolamento lo prevede e lo punisce con il cartellino giallo, trasformandolo in uno strumento a disposizione dei giocatori per arrivare al risultato. E non è un caso che se ne siano dimenticati gli uomini di Spalletti, allenati al gioco offensivo e abituati a considerare tutte le giocate positive del calcio piuttosto che quelle negative, come appunto un fallo intelligente che blocca un’azione altrui.

 

 

È il pensiero pessimistico che manca al Napoli, quello che dovrebbe guidare i difendenti: immaginare in quel momento che Leao e Brahim Diaz possano arrivare in area e fornire gli assist comodi a Giroud e Bennacer. Si dice che siano i dettagli a fare la differenza in una competizione breve, intensa ed equilibrata come la Champions ed è vero: ogni edizione lo conferma. Spalletti, squadra e città ne facciano tesoro: c’è sempre qualcosa da migliorare e il Napoli, ora, ha scoperto cosa.