Nazionale
Mateo Retegui, il nuovo Vieri? Chi è l'ultima scommessa di Mancini
Carlos Retegui non si è perso un minuto degli allenamenti del figlio Mateo in questi giorni a Coverciano. Sta sfruttando al massimo la terrazza che si affaccia sul campo d’allenamento della Nazionale, di cui è ospite d’onore. Vista la crisi di centravanti, l’iter di benvenuto solitamente offerto ai genitori dei nuovi acquisti nei club è stato introdotto anche per la Nazionale. Protocollo rispettato: come da prassi, papà Retegui dice di «tifare Italia» e che «in questi giorni non esiste altra squadra». Squadra, appunto, non Nazionale: la famiglia ha accettato subito la chiamata alle armi di Roberto Mancini, che non si aspettava un “sì” così immediato, per valorizzare il talento del ragazzo e lanciarlo anche in Europa.
Non c’è da offendersi ma da pregare che Mateo, 23enne centravanti da 186 centimetri per 90 chili del Boca Juniors in prestito al Tigre, faccia ciò che sa fare meglio e che nessuno in Italia sa più fare: segnare. Il fisico è lo stesso di papà Carlos: quadrato. Da giocatore di hockey, quale infatti quest’ultimo era. Il padre è stato un vincente nel suo mondo: ha guidato la nazionale argentina di hockey su prato alla medaglia d’oro alle Olimpiadi di Rio 2016, tra le altre cose. Così Mateo fin da piccolo è stato educato al successo sportivo e ad un senso professionistico che lo differenzia dai coetanei in patria. Ha abbandonato lo sport di famiglia per entrare nelle giovanili del River Plate. Giocava poco, ma quel poco bastò ad uno scout del Boca Juniors per rubarlo ai rivali cittadini.
LUCA TONI DEL 2006
Se a Guillermo Barros Schelotto, uno dei suoi primi allenatori, Mateo ricorda Luca Toni del 2006, a noialtri richiama Bobo Vieri, più mobile e potente del nove campione del mondo. Non è aggraziato ma poco male, anzi, meglio: serve ferocia, lì davanti nella Nazionale tutta tecnica e bel gioco. Retegui ne ha, si vede che viene da un calcio più sporco rispetto a quello patinato europeo. Divora il campo in pressing e in profondità piuttosto che giocare spalle alla porta. Vuole segnare e segna, principalmente di destro, il suo piede forte: 29 reti in 50 gare con il Tigre lo scorso anno, 6 in 8 partite nel 2023 (una ogni 120’).
L’altro paragone più sensato era scritto nel destino. Retegui ricorda infatti colui che ha dato inizio alla sua carriera, dandogli il cambio in occasione del suo esordio col Boca il 17 novembre 2018, nel match vinto col Patronato 1-0: Carlos Tevez. Mateo Retegui è l’uomo della possibile salvezza di un ruolo - il numero nove- e di un reparto che ha bisogno di un finalizzatore.
L’idea di Mancini, infatti, è tornare al 4-3-3 dell’Europeo per conquistare il prossimo da campioni in carica (si parte domani contro l’Inghilterra vice-campione a Napoli prima della trasferta a Malta di domenica) con un gioco ad alta produzione di possesso e occasioni, quindi non si può fare a meno del centravanti classico. Il problema semmai è considerarlo una soluzione certa ancor prima di vederlo all’opera per poi scaricarlo alla prima prestazione opaca: classica storia italiana che sarebbe meglio evitare, visto che di alternative non ce ne sono (Scamacca gioca poco, Gnonto è un’ala). Sarebbe meglio evitare anche il classico cliché della Nazionale agli italiani. Servono giocatori forti e Mancini, in alcuni ruoli, è costretto a inventarli. Retegui sarà azzurro (basterà farlo giocare un minuto per precluderlo a future convocazioni dell’Argentina, che comunque finora lo ha ignorato) grazie al bisnonno materno (il nonno di mamma Maria) Angelo Dimarco, nato a Canicattì in provincia di Agrigento: un lontano parente è più che sufficiente nel calcio globalizzato di oggi, dove tutte le grandi nazionali naturalizzano i calciatori tranne la nostra. Retegui, infatti, sarà “solo” il 51esimo oriundo a vestire la maglia della Nazionale ma il primo a esordire senza aver prima giocato in serie A. Ecco perché è una novità. Speriamo lieta e, nel caso, non l’ultima.