A tu per tu
Gianluca Vialli, Mancini: "Litigai con lui una sola volta, ecco perché?"
«Credo che sia giusto raccontare Luca in una chiave diversa. Lui è gioia, non tristezza», mi dice Roberto Mancini. «A parte il dolore del momento, che è terribile, credo che Luca preferirebbe sentir parlare di sé con serenità, con allegria, perché lui era così, un ragazzo allegro, un ragazzo perbene, di classe, molto intelligente. Secondo me preferirebbe che tutti noi lo ricordassimo in questo modo e credo onestamente che sia la cosa più bella». E noi è quello che faremo.
Roberto Mancini, 58 anni, Ct della Nazionale italiana, amico fraterno di Gianluca Vialli con il quale ha giocato nella fantastica Samp che trionfò in Italia e in Europa a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta (trascinata proprio da due attaccanti fantastici come Mancini e Vialli), ha deciso di raccontarci lo straordinario rapporto che li lega da sempre
Mister, di voi si è sempre detto che eravate fratelli, non semplici amici...
«Noi eravamo particolari. Diciamo che era la nostra squadra, la Sampdoria, ad essere molto particolare, perché noi eravamo una squadra di ragazzi giovani, quasi tutti della stessa età. Praticamente vivevamo in simbiosi, trascorrevamo la nostra vita, dalla mattina alla sera, sempre insieme. Abitavamo tutti vicini e qualcuno addirittura abitava nella stessa casa. All'allenamento andavamo insieme, a mangiare pure. Eravamo come una famiglia. Con tutti avevo un rapporto fortissimo, ma con Gianluca si era instaurato un legame specialissimo».
Ce lo racconti.
«Con Luca c'era un feeling diverso. Noi giocavamo in attacco insieme, quindi ci capivamo al volo. Lui aveva un carattere totalmente opposto al mio, quindi andavamo d'accordo probabilmente anche per questo. Lui nonostante la giovane età era molto più riflessivo, io ero molto più impulsivo. Ho avuto una vera e propria ammirazione per lui. Lo ammiravo per il ragazzo che era. Rappresentava un punto di riferimento per tutti e in modo particolare per me. Noi ci conosciamo da una vita e abbiamo litigato solo una volta».
Veramente? Me la racconti.
«Credo che il vero motivo fosse perché non avevamo mai litigato e quella volta abbiamo voluto provare a litigare. Per una stupidaggine accadde questo. Durante un allenamento, Luca, anziché chiamarmi Roby, come sempre, mi chiamò Mancini, e allora io gli dissi irritato: "Scusa ma perché mi chiami Mancini?". C'è stata una discussione e ricordo che non ci siamo parlati per un po' di giorni, cinque o sei se non sbaglio».
E poi come avete fatto pace?
«Ci fu un raduno della Nazionale e chiaramente in Nazionale si è tutti amici, non sono ammesse tensioni e ricordo che ci fecero far pace subito. È stata l'unica volta, l'unica litigata di tutta la nostra vita».
Ma poi lei gli ha mai chiesto come mai l'avesse chiamata "Mancini"?
«Ma era veramente per una stupidata. Eravamo in allenamento, durante un'azione di gioco, e probabilmente in quel momento lì a me giravano e a lui anche...».
Quando giocavate nella Samp, tutti e due lì davanti, facevate incetta di gol. Possibile che non ci fosse competizione tra voi? Avevate ruoli un po' diversi ma il compito era lo stesso: fare gol.
«No, non c'è mai stata competizione tra di noi. Io ero un giocatore diverso da Luca. Lui era un centravanti, penso uno dei centravanti più forti che l'Italia abbia mai avuto».
Da mister ce lo descriva come giocatore.
«Luca era un giocatore completo, giocava in area di rigore, sapeva calciare al volo, era veloce, era potente, era tecnico, era forte di testa. Se avesse giocato oggi avrebbe fatto 30 gol in campionato senza nessuna difficoltà».
Perché Sacchi non lo portò in Nazionale nel Mondiale 94?
«Una vera spiegazione sinceramente non me la so dare. Noi eravamo in azzurro da tanti anni e a volte quando cambia il ct si preferisce cambiare il tipo di gioco. Sacchi faceva un tipo di gioco diverso da quello che facevamo noi alla Sampdoria. Però Luca era un giocatore formidabile».
Se dovesse fermare un'immagine pensando a Gianluca, quale sceglierebbe?
«La prima volta che noi ci siamo incontrati, lui giocava nella Cremonese, in serie B. Giocava e non giocava, era un emergente. Io giocavo già in serie A. Dal Bologna ero andato alla Sampdoria e un giorno ci incontrammo sul treno per andare a Coverciano».
E cosa accadde?
«Quel giorno lì, siccome ero consapevole che Luca fosse un grande giocatore, e molto giovane, gli ho detto : "Ma scusa tu devi venire alla Samp, non puoi andare in un'altra squadra. Devi venire perché noi faremo una squadra fortissima. Ti assicuro che ci divertiremo un casino"».
E lui come reagì?
«Lui si mise a ridere e cominciammo a parlare. Gli feci scoprire un po' il mondo della Sampdoria e dopo qualche mese è stato comprato dalla Samp. Questa per me è l'immagine più bella».
Qual è una qualità che Gianluca riconosceva in Mancini?
«Intanto che gli facevo fare i gol, e non mi sembra poco (sorride). Premetto che non è che a me non piacesse far gol però mi divertivo tantissimo a fargli gli assist».
E a livello personale?
«Io ero veramente il suo opposto caratterialmente. Ero molto impulsivo. Lui aveva capito questa cosa e cercava di tenermi più calmo. Per questo c'è sempre stato. E lo ha fatto con l'affetto, con quell'amore che si crea tra fratelli. Per me è stato un punto di riferimento fondamentale. Le confido questa cosa».
Mi dica.
«Cosa c'è di più importante nella vita di una persona, se non un figlio?».
Sinceramente nulla.
«Ecco, io ho voluto Luca come padrino di battesimo di mio figlio Filippo. Questo per darle una misura di grandezza del sentimento che ci legava».
Mister, c'è una cosa che non è stata detta e che vorrebbe che io scrivessi su Gianluca? Un qualcosa che magari non si conosce.
«Di Gianluca si conosce molto perché lui ha rappresentato una figura importantissima nel calcio italiano, sia per quello che ha fatto quando era giocatore, sia quando per un periodo nel quale è stato allenatore. Ha lavorato in tv, è venuto con me in Nazionale. Io ricordo il giorno in cui lui lasciò la Sampdoria. Noi avevamo perso la finale della Coppa dei Campioni a Wembley contro il Barcellona».
E cosa accadde?
«Dopo quella finale ci ritrovammo nel nostro ristorante dove di solito andavamo, e avevamo capito che quella sconfitta avrebbe rappresentato la fine della nostra gioventù. Sapevamo che da quel momento ci saremmo separati. Lui era stato venduto alla Juve. Ricordo che ci siamo trovati lì io, Gianluca, Tonino Cerezo e qualche altro giocatore. A un certo punto scoppiammo tutti a piangere perché capimmo che stava iniziando un'altra era, un'altra epoca per tutti noi».
E così è veramente stato?
«Sì, così è stato. Le nostre strade a livello calcistico si sono divise. Però, come accade nelle vere grandi storie di amicizia, non importa per quanto tempo tu non ti veda o per quanto tempo tu non ti senta. Quando c'è amore non finisce nulla».
Gianluca, insieme a lei, è stato uno dei più grandi campioni negli anni '90. Era bravo anche come allenatore e come dirigente?
«Lui ha fatto allenatoregiocatore al Chelsea, un ruolo abbastanza difficile. Fece benissimo perché vinse delle coppe. Si è trovato talmente bene a Londra da decidere di fermarsi lì quando, magari, avrebbe avuto possibilità di tornare in Italia. Ci ha pensato la Nazionale a riportarlo qui».
I giocatori protagonisti dello straordinario Europeo che avete vinto, dicono, in un coro unanime, che la presenza di Gianluca è stata per loro fondamentale. Un esempio di forza, coraggio, positività. Quale valore ha dato Gianluca Vialli alla squadra durante quella straordinaria esperienza?
«Luca ha rappresentato un punto di riferimento per tutti. Soprattutto per i giocatori più giovani ai quali ha messo a disposizione tutta la sua esperienza. Quando facevamo le riunioni Luca, spesso, parlava con i ragazzi e non essendo lui l'allenatore, ma un dirigente, si rivolgeva a loro con un altro spirito, un altro modo. Credo che questo sia stato molto importante per far capire ai ragazzi il valore e l'importanza di quello che noi stavamo andando a fare. Quello che era iniziato come un sogno e che poi è diventato realtà».
E per lei, la presenza di Gianluca in Nazionale, cosa ha rappresentato?
«A me ha aiutato tantissimo. È stato fondamentale, determinante. Lo è stato per tutto lo staff. Luca aveva un carisma straordinario ed è il motivo per cui tutti i giocatori della Nazionale e non solo sono affezionati a lui. Posso aggiungere una cosa?».
Certo.
«Deve sapere che quando mi è stato proposto di allenare la Nazionale, la prima chiamata io la feci a Luca. Gli chiesi: "Che cosa ne pensi? Cosa faccio? Vado o non vado?"».
E lui cosa le rispose?
«Senza neanche pensarci un secondo, con la sua solita ironia che lo contraddistingueva, mi disse: "Accetta immediatamente, diventare il ct della Nazionale è come diventare il Presidente del Consiglio del calcio. Rappresenti la Nazione».
Non posso ovviamente non chiederle qualcosa rispetto a quella che ormai è diventata l'immagine simbolo sua e di Gianluca. Quell'abbraccio forte, intenso, vero. Mi lasci dire che è una delle immagini più belle che ci portiamo dentro di quella meravigliosa finale. Cosa c'era in quell'abbraccio?
«Noi, in quello stadio ci eravamo trent' anni prima. Lì perdemmo con la Sampdoria la finale di Coppa Campioni e ci siamo tornati insieme, alla guida della Nazionale, vincendo un Europeo. Credo che Luca in quell'abbraccio ha messo tutto quello che aveva e quello che gli rimaneva. C'era la gioia ma è chiaro che c'era anche la battaglia che stava combattendo. Ed io sempre con lui. Io di una cosa sono sicuro, anzi lo spero con tutto il mio cuore, che quei 50 giorni lì siano serviti a Luca per vivere bene. Io sono molto fiero e orgoglioso di aver contribuito, insieme ai ragazzi, e insieme al presidente Gravina, a dargli gioia. Credo veramente che questa sia una cosa bellissima».
Mister, lei nel giro di 20 giorni ha perso due figure a cui era legatissimo: Mihajlovic e adesso Vialli. Lei è molto credente. Come affronta tutto questo?
«Io le confido che fino all'ultimo ho sperato in un miracolo. Mi rendo però conto che le due malattie che li hanno colpiti erano veramente difficili da sconfiggere. Purtroppo hanno avuto la meglio su di loro nonostante siano stati due straordinari combattenti. Due persone che io non ho mai abbandonato. Io spero che adesso Gianluca e Sinisa siano in un posto migliore e lassù, insieme al presidente Mantovani e a Boskov, ridano guardando noi quaggiù e dicano cose come "Guarda quelli dove stanno e noi invece siamo qui e stiamo meglio"».
A marzo la Nazionale tornerà in campo. E tornerà senza Vialli.
«Io ho una sola, unica, grande certezza, che Luca sarà lì con noi, sarà sempre con noi perché la sua impronta rimarrà indelebile. Mi lasci concludere facendomi mandare un grande abbraccio alla mamma Maria Teresa al papà Gianfranco, alla sorella Mila, ai fratelli Nino, Maffo, Marco. Alla moglie Catherine e alle figlie Sofia e Olivia. Un bacio grande».
Tutti noi di Libero ci uniamo a questo suo abbraccio. Grazie Mister.