Qui Juve

Andrea Agnelli? Perché è stato un presidente e un uomo vero

Luca Beatrice

Si cambiano i loghi, i colori delle maglie, pretestuosi e surreali nel calcio moderno. Allora bisognerebbe pensare di mutare certi slogan, come «vincere è l'unica cosa che conta» perché sembra fatto apposta per far supporre ai malpensanti vi sia sempre bisogno di qualcosa in più, di qualche sotterfugio per raggiungere l'obiettivo «a ogni costo».

La mia Juventus avrebbe bisogno, invece, di miglior letteratura. Non sono bastati i cicli vincenti, neppure i nove scudetti consecutivi che altrove sarebbero stati glorificati con romanzi, film, pièces teatrali. Protagonista assoluto della rinascenza bianconera, dopo Farsopoli, l'onta della B e la mediocrità è stato Andrea Agnelli, presidente ad appena trentacinque anni, ambizioso, sicuro che nel suo nome di famiglia la Juventus sarebbe tornata e in fretta a occupare la vetta del calcio italiano. Stare troppo in alto fa male, chiunque comandi una società sportiva lo sa, tranelli e trappole sono disseminate ovunque, l'errore è sempre in agguato, qualcosa che non torna, una stagione sbagliata, un calcolo non troppo preciso, una dichiarazione fuori tempo.

 

 

 


Ancora una volta la storia e la cronaca si scontrano poiché non trovano il terreno comune. La storia, vorrei dire la leggenda, ha già stabilito che Andrea Agnelli è stato uno dei presidenti più vincenti della Juventus e, di conseguenza, del calcio italiano. La cronaca riporta l'atto delle dimissioni ma non la fine di un'era perché a questa squadra non manca poi troppo per tornare a vincere.
Se non sarà oggi, sarà domani.

 

 

 


Qualche giorno fa, un taxista autodefinitosi neanche troppo juventino e munito di buon senso ha così commentato, riferendosi a Torino: «Questa città non ce la farà mai. Se c'è una cosa che funziona, produce lavoro, consumi, guadagni, turismo e anche un certo entusiasmo, immediatamente hai la procura addosso, forse sarà l'invidia».
Altrove la Juventus verrebbe difesa e protetta, qui invece navighiamo quotidianamente nel sospetto, senza che nessuno- lo ha spiegato bene ieri Luciano Moggi - alzi la voce per impedire che ciò accada. Di fronte all'ennesima, faticosa, operazione di rimonta contro il fango mediatico, noi juventini siamo attrezzati a dare peso alla verità. La verità dice che Andrea Agnelli è stato un grandissimo presidente anche nell'ora dell'addio. Prima viene il bene della Juve, ha detto, ammettendo quanto sia stato difficile andarsene. È stato un dirigente vero, oltre ai nove scudetti ha riposizionato la squadra ai vertici dell'Europa, ci ha risollevato dal momento peggiore della nostra storia. Lo so che la gratitudine nello sport non è sentimento comune, però io lo ringrazio e mi levo il cappello davanti a un uomo vero, prima ancora che juventino vero.