Nerazzurri

Inter, dalla festa per la Coppa al sogno scudetto: ma è allarme rosso, perché a Cagliari sarà durissima

Claudio Savelli

Tra birrette, sigari e bollicine, l'Inter si è concessa la giusta dose di festa dopo aver alzato nel cielo di Roma l'ottava Coppa Italia della sua storia, oltre che seconda coppa stagionale. Ma è già tempo di sospendere i festeggiamenti: il campionato si palesa infatti come la prova di maturità definitiva perla squadra nerazzurra. La sfida è rimanere concentrati dopo la "sbornia" dell'Olimpico, sentirsi affamati pur con la pancia un po' più piena e non perdere la fiducia in un finale miracoloso. Tutto insieme e tutto subito. Mica facile. 

 

La supremazia dell'Inter nei confronti della Juventus (zero sconfitte su quattro partite stagionali, di cui due "finali") genera infatti l'effetto collaterale nei confronti del Milan: l'idea che, qualora lo scudetto finisse nella metà rossonera di Milano, siano più i demeriti di quella nerazzurra che i meriti della controparte. Tradotto, che lo scudetto era alla portata e che l'Inter se l'è fatto sfuggire per un eccesso di superficialità in alcuni passaggi fondamentali della stagione. Tra questi, il più grave è senz' altro il derby di ritorno in cui, un po' come nella finale dell'Olimpico, la squadra si è specchiata fino a subire la rimonta.

LUCIDO
L'Inter dovrà dimenticare il successo in Coppa anche se dalla Coppa ha ricavato tre motivi per credere nello scudetto, e quindi nel "tripletino". Il primo è la ritrovata lucidità di Simone Inzaghi, che sembrava essersi smarrita nel momento di crisi invernale. Non si è fatto travolgere dal trambusto emotivo della partita, a differenza di Allegri, e ha cambiato chi doveva, quando doveva, tranne forse Lautaro che meritava di giocare di più per una questione di assortimento di coppie offensive e di leadership. Se il collega ha cambiato modulo, inserendo tre difensori una volta passato in vantaggio, Inzaghi è stato lineare, non si è scomposto una volta in svantaggio come era invece accaduto nel fatal Bologna, e ha così comunicato alla squadra tranquillità e consapevolezza nella propria supremazia tecnica.

Si è comportato in sostanza da allenatore dei campioni d'Italia in carica, da squadra superiore, e così ha vinto non solo il trofeo ma la fiducia per il suo futuro all'Inter, a prescindere dall'esito della corsa scudetto. Il secondo motivo per credere nel "tripletino" è Ivan Perisic. È il miglior giocatore della stagione per continuità di rendimento e efficacia. In più è in crescendo: alla doppietta in finale aveva fatto precedere due gol e cinque assist nelle ultime otto di campionato.

 

Lo sfogo per i discorsi sul rinnovo non è un male, semmai evidenzia la voglia di incidere del leader della squadra. Se il giocatore più incisivo ha una motivazione in più, è probabile che sia decisivo. Visto che la corsa scudetto sembra girare attorno agli uomini del destino - il Milan è primo grazie a Tonali, che milanista si dichiara e che all'Inter avrebbe potuto finirci-, è positivo per l'Inter che il croato sia nello stato di grazia proprio ora, quando il destino è in gioco. Per di più, Cagliari e Sampdoria, le prossime rivali dei nerazzurri, soffrono sulle fasce, territorio di conquista di Perisic.

TROFEO PANACEA
Il terzo motivo è la conseguenza emotiva del successo di Coppa Italia. L'Inter non sarebbe stata così leggera nello spirito senza un trofeo perché, a differenza della Juve, si è costruita una stagione "da titoli". In società, ora, la coppa è un margine di serenità fondamentale perché protegge Inzaghi, tutta la dirigenza e pure la continuità del presidente Zhang. Tutte queste componenti possono ora tranquillizzare la squadra in vista delle ultime due partite, che altrimenti avrebbe magari avuto delle crisi di panico. E una squadra tranquilla può "spaventare" la rivale, visto che la variabile fondamentale della corsa è essenzialmente psicologica.