Il caso

Lukaku, Cristiano Ronaldo e gli altri: da fenomeni in Serie A a zavorre all'estero, le star fallite

Claudio Savelli

La nostalgia degli ex serie A verso la serie A non è un complimento ma la conferma che il livello del campionato italiano è basso. O, come minimo, più basso rispetto agli altri top campionati europei, dove i giocatori migrano per il salto di qualità. Salto che non arriva e, a quel punto, si torna dove si stava peggio come stipendi, ma molto meglio come rendimento. Vedi Romelu Lukaku, che piange miseria per tornare all'Inter dopo nemmeno mezza stagione al Chelsea: il sogno di una vita, a suo dire, giustificato dall'ingaggio da 12 milioni netti contro i 7,5 percepiti a Milano, è svanito alle prime difficoltà. Dicono sia il gioco di Tuchel, che funziona senza una punta vera, quando in realtà è la Premier ad essere più difficile: difensori più forti fisicamente contro un attaccante che fa del fisico la sua prima qualità sono una criptonite, non a caso Lukaku ha avuto un infortunio muscolare dopo due anni di continuità atletica. Tredici presenze in Premier di cui solo 8 da titolare sono poche per un leader 28enne all'apice della carriera, reduce dalle due migliori annate, acquistato per 120 milioni di euro: Romelu ha manifestato la sua inquietudine così presto per non perdere l'onda buona creata con i 64 gol in 95 gare nerazzurree quanti di questi vedevano i difensori avversari ridicolizzati fisicamente?

 

 

MAI TITOLARE FISSO
Per un attaccante che vuole tornare in Italia, un altro tornerà dopo averla lasciata per giocare in Champions assieme a grandi campioni. Trattasi di Mauro Icardi, anche lui ormai 28enne, vicino al prestito alla Juventus dal Psg che lo pagò 50 milioni (più 8 di bonus) all'Inter, tre estati fa. In nerazzurro, a parte la prima stagione penalizzata dalla pubalgia, non ha mai giocato meno di 34 partite l'anno: a Parigi non è mai andato oltre le 34 del primo anno (con 20 reti totali) e non è mai stato titolare fisso, prima per la presenza di Cavani e poi di Mbappé-Messi-Neymar, tridente designato. Il precursore della nostalgia canaglia è stato Ciro Immobile, che cavalcò le 22 reti in 33 partite al Torino per balzare nel Borussia Dortmund di Klopp, salvo poi accorgersi di non esserne all'altezza: 10 reti in 34 presenze in Germania, poi 4 in 15 al Siviglia, per poi tornare a scintillare alla Lazio (166 gol in 240 apparizioni). Ai tempi del salto in Europa, Immobile fu pagato 18,5 milioni, due anni dopo tornò in Italia, alla Lazio, per la metà. Ora ne vale circa 30. L'oscillazione segue il rendimento, si impenna in serie A ma crolla all'estero, dove il livello competitivo si alza. È il rischio che sta correndo Donnarumma, miglior portiere al mondo in serie A eppure impiegato part-time con Keylor Navas al Psg: confermarsi ai massimi livelli è di certo più difficile che arrivarci, farlo lontano dalla zona di comfort ancora di più.

 

 

Anche la parabola di Morata conferma la regola dell'Italia come panacea della carriera. Dopo l'esplosione alla Juve, deluse al Real Madrid, al Chelsea e all'Atletico, dove non è mai andato oltre i 20 gol stagionali. E, dopo un'annata di nuovo da 20 reti (la scorsa), è pronto al rientro in Spagna, al Barcellona. Stessa storia per il suo vice, Moise Kean, tornato alla Juve per ritrovarsi dopo essersi perso all'Everton, passando per il Psg: dalla sua i 21 anni e tutto il tempo per mantenere le promesse, pur drogate dall'esordio col botto in serie A. L'Inter ha già conosciuto i benefici del rientro in Darmian, riportato a ottimi livelli dopo il flop allo United, via Parma, cuscinetto di rientro come è stato il Genoa per Zappacosta prima del rilancio nell'Atalanta. E, dopo aver cercato a lungo Marcos Alonso (esempio potenziale: tornando in A si sarebbe rilanciato?), ora punta Lucas Digne: 28enne, acquistato dall'Everton per 20 milioni nel 2018 dal Barcellona, fu un flop alla Roma. Dovesse tornare in Italia a dominare la fascia dei campioni in carica, da riserva della 15esima in classifica in Premier, confermerebbe la tesi.