Addio
Fausto Gresini, il sorriso più puro del Motomondiale: i trionfi e le due mazzate che lo avevano segnato
Ripartirà anche a questo giro, il Motomondiale, è la prerogativa del mondo delle corse, dell'educazione sentimentale di ogni pilota: il pensiero della morte non trova posto nonostante l'asfalto abbia chiesto più volte un alto pedaggio di sangue. Questo, di giri, sarà però particolare per tutti, a cominciare da quando il prossimo 28 marzo in Qatar le moto sfileranno in pit lane e sul muretto non ci saranno Fausto Gresini e il sorriso puro, contagioso. Il Circus perde una colonna, uno uomo prima ancora che un professionista, capace di parole giuste e saggi silenzi, con le moto che hanno sempre guidato tutte le sue scelte di vita. Cercarlo al muretto e non trovarlo sarà come tornare a casa e scoprire che l'ingresso è stato spostato.
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Fausto ha perso la battaglia con il Covid. Ricoverato dal 27 dicembre all'ospedale di Imola, trasferito il 30 al Maggiore di Bologna, Gresini ha affrontato una faticosa altalena fra polmonite interstiziale, febbre, miglioramenti, addirittura la raggiunta negatività al Covid, qualche videochiamata agli amici e peggioramenti improvvisi fino a quello stato di coma indotto necessario per poterlo attaccare al respiratore: i suoi polmoni non riuscivano a scaricare l'anidride carbonica. Esattamente un mese fa, il 23 gennaio, aveva compiuto 60 anni e lui e la famiglia erano stati sommersi da valanghe di auguri, per riverdersi presto in pista. Lorenzo, il più grande dei quattro figli assieme a Luca, Alice e Agnese avuti da Fausto con la moglie Nadia Padovani (sposata nel 2001, impiegata nel team) in questi mesi ha tenuto aggiornati i fan via Facebook. Ieri, con quattro parole lunghe una vita, lo ha salutato: «Bà, Ti amo immensamente». Ma Fausto è stato un secondo papà per tanti dei ragazzi (di tutto il mondo, lui che era un allevatore di talenti) che oggi si danno sportellate nel Mondiale in tutte le classi: impossibile fare i nomi di ciascuno, basta ricordare l'affranto Enea Bastianini, che nel 2014 Fausto lanciò in Moto3, iridato 2020 in Moto2 e ora passato in MotoGp.
Fausto li capiva perché in sella c'è stato a lungo prima di loro, prima di smettere e dire che «era meglio diventare un giovane manager piuttosto che un vecchio pilota». L'esordio nel 1982, in 125, correndo sempre nella classe minore, dove ha vinto due titoli mondiali, su Garelli: il primo nel 1985, il secondo il capolavoro del 1987, 10 successi su 11 gp in calendario tranne quello in Portogallo, in cui forò mentre era in testa. Il ritiro nel 1994, per un totale di 132 gare, 21 vittorie e 17 pole. Poi l'avventura come manager della omonima scuderia, dal 1997, tre mondiali vinti in Moto3, 250 e Moto2. Gli mancava l'alloro in MotoGp, dove dal 2022 avrebbe avuto per la prima volta un team a guida propria. Fra i più grandi è stato mentore di Melandri, di Gibernau; di Loris Capirossi è stato anche compagno di squadra e come un fratello maggiore. A loro e a tutti noi restano le lacrime, le stesse, amarissime, che Fausto aveva versato per Kato e per Marco Simoncelli, i suoi piloti di maggior talento perduti tragicamente in gara, due mazzate che lo avevano segnato ma non piegato.