Palla al centro

Diego Maradona, Vittorio Feltri: "Fu un genio, giù le mani. Perché i moralisti devono stare zitti"

Vittorio Feltri

Da oltre dieci giorni è morto Maradona e ancora si continua a parlarne in varie forme: chi lo loda incondizionatamente per le sue enormi capacità sportive e chi invece ne sottolinea gli aspetti caratteriali e comportamentali, come se nella vita di un atleta straordinario come lui fossero dettagli importanti. A me Diego, osservandolo nella sua specialità, è piaciuto più di qualsiasi altro calciatore, e di gente sul campo ne ho vista correre parecchia, posto che assisto a partite da quasi settanta anni. 

Il fatto che egli giocasse nel Napoli anziché nella mia Atalanta non mi ha impedito di amarlo smisuratamente. Nel 1986 ero inviato del Corriere della Sera che mi mandò in Messico a seguire i mondiali della pelota. Durante il famoso, e direi storico, match Argentina-Inghilterra ero in tribuna. A un certo punto el Pibe de oro portò in vantaggio la sua nazionale dopo una azione travolgente. Non mi accorsi che egli avesse fatto gol con la mano e quando me ne resi conto non ebbi nulla da obiettare. Pensai che solo un padreterno quale Diego potesse segnare una rete tanto bella usando l'arto superiore. Una magia. Avevo ammirato all'opera a San Siro anche Pelé negli anni Sessanta, era marcato da Trapattoni che non gli fece toccare palla. Ma si trattava di una amichevole. Poi ebbi modo di apprezzare il campione dalla pelle scura per molti anni: era un fenomeno. 

 

Però devo aggiungere che, dopo aver guardato con meraviglia Maradona, specialmente nel Napoli, mi sono persuaso subito che questi avesse qualcosa di più, la fantasia, la capacità di inventare fraseggi stupefacenti con i compagni, l'abilità esagerata nel dribbling nonché di imprimere al pallone traiettorie inimmaginabili e sempre precise. L'infanzia e la adolescenza di Diego furono degne di avere sullo sfondo il Vesuvio, paragonabili a quelle di uno scugnizzo del Rione Sanità, eppure questo non gli impedì di essere già un fuoriclasse fin da piccolo. La sua prematura capacità di trattare l'attrezzo sferico da consumato giocoliere lasciava a bocca aperta. 

Poi il nostro crebbe e divenne irresistibile. Giunto nella città partenopea tutti sapevano che egli fosse una specie di dono di Dio, ma pochi prevedevano che avrebbe trascinato la squadra locale alla conquista di due scudetti. E il metodo con cui compì il miracolo è ancora ben fisso nella memoria non soltanto dei napoletani, bensì di qualsiasi appassionato di football. Non ho mai sentito alcuno denigrare neppure per scherzo il tracagnotto prodigioso, neppure i suoi più accesi avversari. Tra l'altro egli era un uomo generoso, aiutava chiunque, anzitutto i compagni che in confronto a lui erano modesti pedatori. In occasione del suo decesso (evitabile) ho letto sul mirabile giocatore critiche aspre relative alla sua condotta di individuo scapestrato. 

 

Non le condivido, anzi non le prendo sul serio. Perché per me Maradona va giudicato per quello che è stato in grado di fare sull'erba degli stadi, qualcosa di fantastico, o di poetico, e non me ne frega niente se la sera sbandava sotto l'effetto della droga, se sco*** di qua e di là, se conduceva una esistenza sregolata. Ciascuno di noi fa quello che gli garba, pure io ne ho combinate di tutti i colori e non ho il diritto di fare le prediche a un portento che ha emozionato le folle con le proprie gesta. Grazie, Maradona, per l'incanto che hai regalato ai napoletani, e anche a me.