La serie A non coltiva talenti

Michelangelo Bonessa

 L’Italia è un paese vecchio, anche nel calcio: nei clubdi quello che è il campionato più vecchio d'Europa c'è poco spazio per igiocatori nati nei settori giovanili. È l'immagine della Serie A delineata dalquarto rapporto dell'Osservatorio dei giocatori professionisti (PFPO) sulmercato del lavoro calcistico in Europa. Il documento di 100 pagine analizza icinque principali campionati del Vecchio Continente: Premier League, Liga,Serie A, Bundesliga e Ligue 1. Per il quarto anno consecutivo la percentualedei 'club-trained players', gli atleti formati dai club, è scesa: si è passati dal22% del 2007-2008 al 21% del 2008-2009. La Serie A spicca per il valore piùbasso (12,5%) tra i principali campionati europei. Nessun club italiano figuranella top ten delle società che fanno affidamento sui propri 'prodotti’.Reggina, Juventus, Atalanta, Roma e Milan, le squadre più 'genuine’ delpanorama tricolore, non sono in grado di reggere il confronto con AthleticBilbao, Barcellona o Bayern Monaco. Altop la Francia - Quando si tratta di lanciare giovani inprima squadra, al vertice c'è la massima divisione francese (30.3%), che puredeve fare i conti con un robusto calo del 5%. Il trend negativo a livellogenerale è confermato anche da un altro dato: la percentuale dei match giocatidai calciatori nati nei settori giovanili è scesa dal 16,5% al 15,9%. Giocatoripiù vecchi - È cambiata anche l'età media deiprotagonisti del football: dai 25,8 anni della stagione 2007-2008 è salita a26,1 anni. L'Italia ha la media più alta (26,7) che arriva a 27,5 nei 5 topclub. La Francia ha quella più bassa (25,3) ma con un +0,47 in 12 mesi si staadeguando alla generale tendenza Igiocatori stranieri e autoctoni - Allo spazio ridotto cheviene concesso agli atleti ‘indigeni’ corrisponde la crescita del numero deicalciatori stranieri che calcano i campi nei principali tornei europei. LaPremier League inglese è il campionato con le frontiere più aperte: nellesocietà di prima divisione, nel complesso, gli 'expatriate players' sono il59,2% del totale. Le cifre scendono al 54,8% quando si prendono inconsiderazione le 5 squadre più forti. Pesa in maniera rilevante il dato delLiverpool (90%): trovare un inglese, nella rosa dei reds, è un'impresa. LaBundesliga, in Germania, può 'celebrare’ un risultato epocale: gli stranierisono diventati il 50,2% della forza lavoro complessiva e, per la prima volta,sono diventati più numerosi dei colleghi tedeschi. I paesi che esportanocalciatori verso le principali leghe europee sono Brasile (163), Argentina(103) e Francia (100): insieme, le 3 nazioni forniscono il 31,2% del 'prodotto’.In crescita impetuosa nel 2008-2009 il contributo olandese (41, +10), in caloquello del Senegal (17, -13). Un girovago come Zlatan Ibrahimovic, capace dicambiare 4 club in tra il 2004 e il 2009, è un'eccezione secondo il rapporto:in media, un calciatore cambia maglia per 3,47 volte in 10 anni. In pratica,uno spostamento ogni 34 mesi. L'Italia spicca anche in questo settore: con 4,24trasferimenti ogni 10 anni, il giocatore della Serie A è il più mobile. Neltorneo nostrano, insomma, non si mettono radici: la permanenza media di untesserato in una società è solo di 2,36 stagioni.