Addio a Riccardo Cassin

Dario Mazzocchi

Le valli di tutto il mondo si sentiranno un po’ sole da oggi: Riccardo Cassin, una delle leggende dell’alpinismo mondiale, se ne è andato sulla vetta più alta alla nobile età di cento anni. E con centinaia e centinaia di chilometri sotto i suoi scarponi. È morto nella sua casa di Pian Resinelli, vicino a Lecco, lui che era originario di San Vito al Tagliamento, Friuli. E che sarà ricordato per la grande passione della montagna, che sin da giovane lo aveva portato a misurarsi con le scalate più impegnative. Dalle Dolimiti alle Alpi, dai massicci del Nepal all’Alaska. Ha viaggiato il mondo portandosi dietro quell’istinto che ha solo la gente come lui: misurarsi con l’altitudine, con la fatica, con il coraggio e il piacere di portare a termine l’opera. Sulle rive del Tagliamento - Dallo scorso 2 gennaio era un centenario. Ma soprattutto è stato tra i pionieri dell’arrampicata sportiva del Novecento, quando l’alpinismo romantico di fine Ottocento stava per lasciare campo a quello fatto di tecnica e di sfide che ha preso piede dalla metà del secolo scorso. Nato da una famiglia di umili origini, deve sopportare la scomparsa del padre Valentino, costretto ad emigrare in Canada e deceduto in un incidente in miniera nel 1913, quando ha solo 29 anni. Orfano, cresce sulle rive del Tagliamento, dove imperversa la Prima guerra mondiale. Una vita a scalare - Nel 1926 si muove a Lecco, dove torna a fare a botte con la vita nei panni di pugile, per poi trasformarsi in alpinista negli anni ’30. La sua palestra sono le guglie delle Grigne. Nel 1934 compie la prima ascensione delle Piccolissima delle Cime di Lavaredo. Un anno più tardi, dopo aver affrontato la parete nord-ovest del Civetta, scala lo spigolo sud-est della torre Trieste e poi di nuovo la Cima Ovest di Lavaredo con Vittorio Ratti. Nel ’37 è la volta delle Alpi Centrali. In tre giorni, funestati dal maltempo, porta a termine la prima salita dell’enorme parete nord-est del Pizzo Badile. I comaschi Molteni e Valsecchi, compagni di cordata, muoiono per sfinimento lunga la discesa. Cassin per l’impresa riceve la medaglia d’oro al valore atletico dal Coni. Ma è forse tra il 4 e il 6 agosto 1938 che porta a compimento l’impresa destinata a rimanere nella storia. Sul massiccio del Monte Bianco, compie la prima salita dello sperone Walker della parete nord delle Grandes Jorasses. La Seconda guerra mondiale farà calare per qualche anno il sipario. Niente K2 - Nel 1952 il fatto: Cassin viene escluso dalla spedizione nazionale al K2 capitanata da Ardito Desio. Alcune fonti affermano che in realtà “fu lasciato a casa in seguito a discussi esami medici, favorendo così la maggior gloria del professor Desio”. Ma poco importa, perché il buon Riccardo non rimase a terra. Nel 1958 guida la spedizione che porta sulla vetta del Gasherbrum IV Walter Bonatti e Carlo Mauri. Tre anni dopo capeggia una spedizione sul monte McKinley, il più alto del Nord America, in Alaska (quota 6.194). Nel ’75 avrebbe anche guidato la spedizione alla parete sud del Lhotse, con Reinhold Messner, ma il maltempo gli dice no. Cassin è stato decorato in totale con quattro medaglie d’oro al valore atletico, nel dicembre del 1971 gli poi è stata conferita l’onorificenza di Commendatore della Repubblica e nel 1976 la cittadinanza onoraria di Lecco. E’ stato nominato dall’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro Grande Ufficiale della Repubblica. Ha scritto due libri, “Dove la parete strapiomba” (1958) e “Capocordata, la mia vita di alpinista” (2001). Non si è fatto mancare nulla, nemmeno la soddisfazione di fare l’imprenditore nel campo della produzione di chiodi da scalata, ovviamente.