Amarcord
Toglietemi tutto, ma non la mia maglia
Da tenere sul comodino e tuffarcisi dentro ogni sera prima di andare a dormire. Non diventerà(né ha la pretesa di esserlo)un classico della narrativa, eppure ha tutti i numeri per invogliare qualche calciatore a sfogliarlo (e allora sì che a suo modo diverrebbe da antologia), forse anche quell’Antonio Cassano che ha «scritto più libri (uno, ndr) di quanti ne abbia letti». Rizzoli pubblica “1000 maglie da leggenda” (306 pp, 24,90 euro), un volume di fotografie e aneddoti strepitosi messo insieme dal popolare giornalista francese Bernard Lions con la prefazione commossa di Carlo Ancelotti, diventato grande con colori fra il giallo, il rosso e il nero, eppure cresciuto con il «primo amore che non si scorda mai, non un pezzo da collezione, semplicemente un pezzo del mio cuore». La maglia dell’Inter, quella indossatadaCarloTagnin nella finale di Coppa Campioni 1964, quando annullò l’imprendibile Di Stefano. Storie di colori, di club e nazionali, design, tecnologia e avventure. Anche sbagli clamorosi, come quella che ha consegnato agli annali la Juve in tenuta bianconera. I ragazzi che il 1° novembre 1897 fondarono la società su una panchina di Torino, debuttarono in camicia rosa, cravattino e pantaloni neri. Ma la cattiva qualità delle camice portò il colore a sbiadire in fretta e ordinarono direttamente in Inghilterra le maglie rosse del Nottingham Forest. Per errore furono consegnate quelle del Nottingham County, ma le strisce bianche e nere, «aggressive e piene di forza», furono da amore a prima vista. E ancora di moda, a quanto pare. Non si può dire lo stesso della maglia con falce e martello dell’Unione sovietica, magnifica nel suo monocolore rosso, e l’acronimo in stampatello stampato a tutto petto. Prima di acquistare tutto il suo sapore rétro, però, il completo targato CCCP è stato uno dei principali strumenti di propaganda comunista nel mondo. Un oggetto da collezione, un gol al sette nella sezione “Galleria vintage, le maglie dei bei tempi andati”, accanto all’inossidabile divisa del Boca Juniors (azzurra con striscia trasversale gialla), alla camiseta (davvero camicetta, con quattro bottoni) della Spagna 1950, alla maglia di Cuba 1962, l’anno della crisi missilistica, con la C (di Cuba, ma anche e soprattutto di Castro) stampata maiuscola, enorme. Dall’Albania allo Zambia, dunque, un viaggio nel pianeta calcio fra 170 maglie leggendarie e altre 850 da tutto il mondo. E se accanto a quella azzurra, indimenticabile, dell’Italia Mundial di Pablito Rossi o quella inconfondibilmente oranje di Johan Cruyff (con solo due strisce sulle maniche, però, non le tre dell’Adi - das come tutti gli altri compagni: Cruyff aveva Puma come sponsor personale e quindi ne toglieva una), ecco “Le più stravaganti, quando gli stilisti si lasciano prendere la mano”. Fotografie di casacche caleidoscopiche, da perderci gli occhi a guardarle e la dignità a portarle, come epigono insuperabile il messicano Jorge Campos, il «portiere volante» che le disegnava da solo. Eccentrico, tanto quanto Roque Gaston Maspoli, il portiere di quell’Uruguay capace di vincere il mondiale in Brasile nel 1950 e mandare all’inferno un Paese intero: «Mi vestivo di nero o marrone, così gli attaccanti faticavano a distinguere i miei movimenti». Situazioni studiate nei dettagli o figlie del caso, comeil “10” affibbiatoauncerto Pelédaun delegato Fifa al Mondiale 1958 in Svezia, che da allora avrebbe battezzato il senso unico e speciale di avere quel numero sulle spalle. Ma in una maglia ci può essere pure tanta malizia. Nel febbraio 2009, il croato Dino Drpic arriva al biancoceleste Karlsruhe e sceglie il 69, «con la speranza di aumentare le vendite della maglia », dice lui: in realtà glielo aveva suggerito la moglie, la debordante Nives Celzijus, che in piena promozione del suo libro “La verità nuda”, aveva confessato in tv di aver fatto l’amore con lui nel cerchio di centrocampo dello stadio Maksimir della Dinamo Zagabria. Risultato: la Bundesliga ha proibito il 69 (il numero) a Drpic e vietato tutti quelli superiori al 40. di Tommaso Lorenzini