Intervista a Libero
Preben Larsen Elkjaer: "Questa Atalanta sembra il mio Verona e può sognare anche lo scudetto"
«L'Atalanta mi piace: è una squadra che attacca, ha ottimi giocatori, penso a Zapata, che un po' mi somiglia per potenza e fiuto del gol. In Italia vincere lo scudetto è difficilissimo, lo era ai miei tempi e lo è oggi, anche se trent' anni fa la Serie A era migliore. Sarebbe un' impresa, tutto dovrebbe girare per il verso giusto, ma Gasperini può farcela, così come ce l' abbiamo fatta noi con Bagnoli». Preben Larsen Elkjaer conosce bene Bergamo e l' Atalanta. Dodici maggio 1985, stadio Atleti Azzurri d' Italia: al termine di una tambureggiante azione d' attacco "Cavallo Pazzo" riceve il pallone in area da "Nanu" Galderisi e pareggia di sinistro con una rasoiata che non lascia scampo a Ottorino Piotti. Atalanta 1 Verona 1. È il gol che consegna all' Hellas l' unico scudetto della sua storia. Elkjaer, che da quel giorno a Verona sarà per tutti "il sindaco", attaccante danese possente ma dal dribbling facile, da giovane era soprannominato "il matto di Lokeren", squadra belga dove si è segnalato al grande calcio europeo. Preben Larsen si è sempre fatto chiamare col cognome della madre, Elkjaer, appunto, perché in patria Larsen è un cognome comune, e lui un tipo comune non lo è mai stato. Oggi ha 62 anni, è sposato con Nicole e ha un figlio, Max, che ormai è un uomo. Da tempo Elkjaer commenta le partite di Champions League per la tivù danese. In Europa l'Atalanta sta soffrendo... «In Champions l' ho vista due volte. È una squadra tecnica, messa bene in campo, ma ha subìto troppi gol, così non puoi pensare di superare il girone. Sta pagando l' inesperienza. Poi è anche vero che in casa del Manchester City puoi perdere di brutto, è capitato a tanti. Il vero pasticcio l' ha combinato contro la Dinamo Zagabria». Il Verona ha vinto lo scudetto nell' unico anno del sorteggio arbitrale integrale. Ora c' è il Var: è un aiuto per le "provinciali"? «Sicuramente le tutela di più, ma non è uno strumento che mi piace tanto». Perché? «Non dà certezze. Nemmeno io, che ho giocato ad alti livelli per vent' anni e commento partite tutte le settimane, so al 100% se un intervento è da rigore o meno. Posso riguardarlo dieci volte ma il dubbio mi resta, soprattutto sulle trattenute». Però con il Var, nell' 85-86, forse il suo Verona non sarebbe stato eliminato dalla Juve agli ottavi di Coppa dei Campioni. Lo ricorda, vero, il tocco di mano in area non sanzionato di Aldo Serena? «Certo, come potrei dimenticarlo! Lo ricorderò per tutta la vita. La decisione dell' arbitro Wurtz è stata ridicola. In quegli anni era difficilissimo vincere contro le grandi». E oggi lei è davvero convinto che l' Atalanta possa farcela contro la Juve di Ronaldo? «Perché no? La Juve dovrebbe perdersi per strada, ma non vince sempre chi ha la rosa con gli ingaggi più alti. Pensi al Leicester in Inghilterra. E poi, me lo lasci dire, Ronaldo è fortissimo ma non è quello di Madrid. Il mio Hellas ha battuto Platini e Maradona, l' unico capace di vincere le partite da solo». Nell' 84, all' esordio al Bentegodi, Maradona lo avete sconfitto 3 a 1. Avevate capito subito di poter vincere lo scudetto? «No, per nulla. Sapevamo di essere forti, ma niente di più. Abbiamo cominciato a pensarci dopo 10-12 partite: eravamo sempre primi in classifica, e ci siamo rimasti fino all' ultima giornata. In città si respirava un clima pazzesco, la gente era fuori di testa». Il Papu Gomez come Galderisi: azzardato? «Gomez è un trascinatore, è molto agile e segna sempre. Il paragone con Nanu ci sta». Si dice che in provincia si senta meno la pressione dei tifosi: è vero? «Macché! Magari all' inizio, quello sì. Ma se tu vinci una domenica, quella dopo e quella dopo ancora, la gente si aspetta sempre di più, non conta se la città è grande o piccola. La pressione prima o dopo arriva: è normale se sei sempre più vicino allo scudetto». Bagnoli parlava poco e lavorava molto sul campo. Teneva un profilo basso, come Gasperini. «Il mister parlava quando c' era bisogno. In Italia c' è troppo casino attorno al calcio. L' allenatore deve dare tranquillità, dire poche cose ma al momento giusto. È stata una delle chiavi del successo del mio Verona, e potrebbe succedere anche a Bergamo». di Alessandro Gonzato