Nerazzurri
Inter, ecco come Luciano Spalletti ha aumentato i problemi: la sentenza di Fabrizio Biasin
Questo articolo è subdolamente architettato per puntare il dito: «È colpa di Tizio», «no, di Caio». Funziona sempre così: quando le cose precipitano noialtri avvoltoi ci tuffiamo sul moribondo di turno. Nel caso specifico si parla di Inter ed è veramente difficile pensare che il disastro attuale sia solo responsabilità dell' allenatore, ma certo non si può neanche scrivere che stia facendo tutto quello che va fatto per tenere la barra dritta. Proviamo a motivare. Spalletti è stato assunto dall' Inter per riportare la squadra nell' Europa che conta: ci è riuscito, con un po' di culo ma ci è riuscito. Quest' anno, nell' ottica molto cinese dell'«un passo alla volta», avrebbe dovuto semplicemente far vivere una stagione serena a tutti quanti: una comoda qualificazione alla prossima Champions, un cammino soddisfacente in Europa, magari la vittoria della Coppa Italia. Le cose fino a un certo punto stavano andando bene: discreto tragitto in Champions con «digeribile» eliminazione (Tottenham e Barça sono ai quarti, il Psv è davanti all' Ajax in campionato) e agevole terzo posto in A. Leggi anche: Striscia la Notizia e il dramma di Beppe Bergomi Si poteva andare avanti così, trasformando qualche oggettivo fastidio in giusta punizione (la moglie del capitano parla troppo in tv? E io lo costringo a un paio di turni di «riposo forzato»), ma il tecnico ha preferito un' altra strada. Per capirci: invece di ammorbidire i problemi ha scelto di amplificarli. Non solo, di fronte ai capricci del suo attaccante (ingiustificabili, sia chiaro, ma prevedibili) non ha virato verso il buonsenso (gli ho tirato una bastonata, ora gli butto là una carota), ma ha insistito con la linea dura. In questo modo è finito in un doppio precipizio: 1) Ha dimostrato ai suoi datori di lavoro di essere bravo a fare il suo mestiere, ma solo se la strada è lineare e non prevede intoppi, viceversa è il primo a perdere la bussola. 2) Ha perso il giocatore che con i suoi 29 gol un anno fa aveva contributo al 4° posto per assecondare «il dissidente» Perisic, ovvero il calciatore che a gennaio aveva chiesto la cessione e in un amen è diventato reuccio incontrastato dello spogliatoio. Tutte queste profonde analisi contano nulla, perché il dato di fatto è che nessuno - tranne gli interessati - conosce i motivi per cui un mese fa si sia deciso di curare un presunto mal di testa non con l' aspirina, bensì con una decapitazione pubblica. E dalle decapitazioni non è che si possa tornare indietro, soprattutto se boia e decapitato non decidono di trasformare in fatti quel che dicono o scrivono a parole: «L' Inter è il mio amore, l' Inter viene prima di tutto». Che lo dimostrino: non è mai troppo tardi, almeno fino a quando diventa tardi sul serio. di Fabrizio Biasin