"Atalanta, torniamo insieme". Intervista a Cristiano Doni: il racconto di una carriera
Doni, che ci fa a Bergamo: è in vacanza? Scusi, perché questa smorfia ironica? «Qui ci vivo e ci ho sempre vissuto». Ma come, non si era trasferito a Maiorca? «Queste sono le cazzate dei mass media, una delle tante dette su di me. Secondo alcuni avevo venduto tutto, secondo altri ero fuggito in Brasile. La realtà è che non mi sono mai spostato da questa città. Maiorca è la mia seconda casa e gestisco un ristorante dal 2011, ma ormai ci vado solo un mese l' anno». Non ha nemmeno mai avuto la tentazione di andarsene da Bergamo? «Oh certo, appena successo il "casino" ci ho pensato, sarebbe stato un modo per proteggere la mia famiglia. Ma poi è venuto fuori il carattere: io non scappo. Magari me ne andrò in futuro, quando i figli saranno più grandi». Quanto hanno? «Giulia 16 anni, Lukas 5». Fanno sport? «Il piccolo è iscritto a una scuola calcio, la grande fa nuoto sincronizzato». E Cristiano Doni, invece, gioca ancora? «Mi diverto in un torneo a 7 con amici: la squadra si chiama Bidoni. Simpatico, eh?» Divertente. Ma calcio a parte che fa, lavora? «Gestisco alcune attività imprenditoriali. Poi mi occupo di scouting, scopro giovani calciatori e faccio intermediazione per un' agenzia. Viaggio molto all' estero, seguo partite in Portogallo e nord Europa». Da molto tempo? «Un paio di anni, da quando è scaduta la squalifica. Avrei potuto iniziare prima, ma ho scelto di aspettare per una mia questione etica». Di lei, negli ultimi anni, si è sempre saputo poco. Non ha mai parlato, è praticamente sparito dai riflettori. «Sono stato il capro espiatorio della nota vicenda, ho dovuto lottare contro una macchina del fango, sono entrato in un vortice allucinante: qualsiasi cosa dicessi, veniva strumentalizzata». Tipo? «Mi sono state attribuite parole che non avevo mai pronunciato (su Atalanta-Pistoiese del 2000, in cui coinvolgeva anche Allegri n.d.r.), ho letto interviste mai rilasciate. E poi le intercettazioni con puzzle fatti ad arte. Quante falsità, quante cattiverie. E non mi riferisco solo alla stampa, ma anche alla Procura di Cremona...». Bergamo come l' ha trattata? «Appena dopo il "casino" uscivo poco, non facevo certo vita mondana. Ma con il tempo, per fortuna, i fatti si sono ridimensionati alle reali responsabilità, ora la gente ha capito e mi tratta con affetto, ricordando soprattutto ciò che ho fatto in campo». Cosa le dicono i tifosi quando la incontrano? «Mi chiamano capitano e ripetono: "Ah, se ci fossi tu in questa Atalanta punteremmo allo scudetto"». La squadra di Gasperini la segue? «Sono il primo tifoso. Ma ammetto che sono un po' invidioso: quanto mi sarebbe piaciuto far parte di una squadra cosi forte». Sogniamo insieme, non costa niente: Doni in questa Atalanta dove giocherebbe? «Nel ruolo che lo scorso anno era di Cristante. Io dietro Gomez e Ilicic: che sballo». Ma chi, dei due, somiglia più a lei? «Io e il Papu siamo completamente differenti per fisico, carattere e modo di giocare. Ilicic è più simile a me, anche se lui è più tecnico. Io forse ero più completo». Con Gasp sarebbe andato d' accordo? «È il vero artefice di questi successi, ha cambiato la filosofia e la mentalità con uno stile unico. L' Atalanta con lui non ragiona più da provinciale. Ora però anche la società deve fare lo stesso salto». Cioè? «I dirigenti devono alzare l' asticella, cambiare target, migliorare la rosa. È il momento giusto». A proposito di società, il presidente Percassi l' ha più sentito? «Mmmmm, tasto dolente. No». Avevate un ottimo rapporto però. «Era stato lui a eleggermi capitano simbolo, tra noi c' è sempre stato un grande feeling. Mi ripeteva: "Cristiano, tu diventerai il prossimo presidente". Dopo la promozione in A volevo smettere, avevo 38 anni ed ero usurato fisicamente. Lui invece ha insistito per un accordo biennale: una stagione da giocatore e una da dirigente. Ho firmato in bianco». Ma dopo il "casino" non vi siete più visti. «Purtroppo no, mi spiace molto. Ma ora vorrei tanto poterlo incontrare per chiarirci. Spiegarci guardandoci negli occhi. Per ringraziarlo da tifoso e da ex giocatore». Lei è più tornato allo stadio? «No e il sogno è portarci mio figlio. Ma senza un invito di Percassi mi sembrerebbe quasi una forzatura». Doni, prima ha parlato dell' ultimo contratto con l' Atalanta. Domanda inevitabile: tutti si sono chiesti perché, dopo il "casino", lei è rimasto stipendiato dai nerazzurri fino alla scadenza. «Mancavano solo sei mesi e non è mai stato affrontato l' argomento». Sua figlia le ha chiesto cosa è successo? «No. È una ragazzina intelligente, non ha avuto bisogno. Io però ero preparato, sapevo che sarebbe potuto accadere». Se dovesse spiegare il "casino" a un bambino cosa direbbe? «Che nella vita si sbaglia, ma poi ci si rialza. Io ho sbagliato ma l' ho fatto da uomo, prendendomi le mie responsabilità e forse qualcosa in più... E gli ricorderei che comunque si sta parlando di una partita di pallone». Il bambino le ribatterebbe: "In cosa ha sbagliato?". «Ho ficcato il naso in qualcosa più grande di me. Ma anche se non l' avessi fatto non sarebbe cambiato proprio nulla, i risultati in campo sarebbero stati gli stessi. In compenso, però, ho pagato più degli altri». Tre anni e mezzo di squalifica più altri due per illecito sportivo. «Ho ammesso che sapevo, ma non ho fatto nulla. Sarebbe bastata un condanna per omessa denuncia». Doni, domani è Natale. Come lo vive? «Serenamente, anche se allora il "casino" è scoppiato proprio in questi giorni. Il ricordo non mi condiziona: nel bene e nel male quella parentesi è una parte della mia vita». Il 19 dicembre 2011 è stato arrestato. Come mai scuote la testa? «Non mi interessa parlarne, rivangare. Mi scusi. Potrei raccontarle i particolari dei 12 carabinieri che hanno fatto irruzione all' alba a casa e io che pensavo fossero ladri, oppure i dettagli della cella di isolamento vicina a criminali veri, o ancora dell' ora d' aria. Ma non avrebbe senso. Non voglio fare la vittima e soprattutto sono abituato a guardare avanti, non indietro». Ha cancellato tutto? «No, cancellato no. Perché ciò che mi è successo è la cosa peggiore che possa capitare a un uomo oltre alla morte e i cinque giorni in prigione sono stati i più brutti della mia vita. La fortuna è che sono riuscito a trasformare questa terribile esperienza in energia positiva. È stata durissima, ma ce l' ho fatta». Se ci ripensa cosa le fa più rabbia? «Che si è cercata la spettacolarizzazione, più che la verità. E poi le tante cose che mi hanno fatto male». Qualche esempio? «Mi sarebbe piaciuto che qualche ex collega o compagno di lunga data dell' Atalanta avesse detto chiaramente chi era Cristiano Doni. Ma ci volevano le palle per farlo...». Poi? «Le racconto questa. Dopo il "casino" un giornalista chiede a un ex nerazzurro: "Quale è stato il più forte con cui ha giocato nell' Atalanta?". Risposta: "Doni, ma non so se posso dirlo". Capito? Ero diventato un tabù, un nome scomodo solo da pronunciare». Torniamo indietro nel tempo. Lei è arrivato a Bergamo nel 1998 e, a parte la parentesi alla Samp... «...un errore del quale mi sono pentito...». ...e una stagione al Maiorca è stato atalantino per 20 anni. Il gruppo più matto? «Campionato 2007-2008, allenatore Delneri. In rosa ci siamo io, Manfredini, Zampagna, Carrozzieri, Langella, Bombardini. Ci invitano alla "Partita dell' amicizia" a Digione, città francese gemellata con Bergamo. È ottobre, loro vanno a mille all' ora e ci menano, noi siamo imballati. A metà secondo tempo vincono 2-0 e uno mi fa un brutto fallo da dietro. Mi giro incazzato e lo tiro su prendendolo per i capelli: in un attimo arrivano tutti e scoppia la rissa più spaventosa che abbia mai visto. E il mister, appena arrivato, negli spogliatoi balbetta: "Ma-ma dove sono finito?"». Non male. Doni, è vero che con Antonio Conte ha litigato? «Mi ha mancato di rispetto davanti a tutti e gli ho risposto a tono. Poi ci siamo chiariti e ho cercato di aiutarlo solo per il bene dell' Atalanta. Molto più di altri...». Ultime curiosità veloci. I più simpatici con cui ha giocato? «Gallo e Vieri. Materazzi il meno simpatico da affrontare in campo». Il più forte? «Morfeo come talento puro: peccato iniziasse ad allenarsi il venerdi. Totti e Vieri un livello sopra chiunque». Come vorrebbe essere ricordato tra 30 anni? «Non tanto per i gol segnati, ma per l' impegno e l' amore che ho sempre messo per l' Atalanta». di Alessandro Dell'Orto