C'era una volta il Dottore
Valentino Rossi, la stagione più amara. Verdetto MotoGp: è diventato meccanico, si scorda di fare il pilota
Il danno di un Mondiale chiuso senza vittorie, che a Valentino Rossi non era mai accaduto eccezion fatta per il biennio in Ducati, era annunciato, ma dietro si cela la beffa di una Yamaha che, dopo un anno passato a zoppicare, nelle ultime due gare è sembrata di nuovo all' altezza delle concorrenti. In Malesia e a Valencia il Dottore ha avuto il miglior passo-gara, avrebbe potuto vincere non fosse stato per due cadute e per la partenza dalle retrovie al Ricardo Tormo. L' aveva detto sorridendo, Rossi, che la Yamaha ultimamente "andava meglio", e con il senno di poi la sua non è stata una frase di facciata ma la verità, soprattutto per quanto riguarda l' atavico problema dell' elettronica. Ma per conferme saranno indicativi i test per il 2019 in programma domani e mercoledì a Valencia: i segnali positivi in gara infatti potrebbero anche essere illusori, visto che il Mondiale era già deciso da tempo. E, in ogni caso, Honda e Ducati (rispettivamente 9 e 7 vittorie stagionali) hanno oggettivamente sorpassato Yamaha (ferma ad un successo, di Vinales in Australia), la quale sarà quindi costretta ad inseguire. Il punto è che Valentino non ha tempo (il prossimo anno, almeno secondo il contratto, dovrebbe essere l' ultimo della carriera), e nemmeno lo merita, perché anche nella stagione del record negativo ha dimostrato di essere competitivo in sella, nonostante la moto. Ecco il cortocircuito: siccome il Dottore non corre per diletto ma per il successo, nel momento in cui quest' ultimo diventa irraggiungibile può cadere il presupposto per cui vale la pena allungare la carriera. Semmai inizierebbe a galleggiare nella sua mente l' idea che, piuttosto, varrebbe la pena finirla prima che sia troppo tardi, questa carriera. Prima di essere costretto ad altri anni di straordinari dietro le quinte, in aggiunta alle canoniche ore in pista. Perché questo è accaduto durante le ultime due stagioni: Valentino ha dovuto lavorare anche da ingegnere perché la moto di casa Iwata è rimasta ferma mentre le concorrenti si sono sviluppate. Non è stato il peggiore anno della carriera di Rossi, ma è stato il peggiore che potesse capitare ora che questa carriera sta volgendo al termine. Perché è stato un Mondiale senza lode e nemmeno infamia, che è la condizione peggiore per un campione. Figurarsi per il campione. L' unico bagliore, forse, rimane la pole al Mugello: quel giorno, chi scrive vide il sorriso incontenibile del Dottore in sala stampa, come se quel tempo in qualifica fosse una scintilla necessaria ad accendere la seconda parte di stagione. Invece è rimasto un episodio, perché poi Vale è sempre stato in difficoltà e il problema è che non lo è stato per colpa sua, ma per quella di terzi. Di Marquez che corre sempre più veloce, e della Yamaha che non gli ha consegnato una moto all' altezza. Il problema è che il rapporto tra la Yamaha e Valentino si è sproporzionato: il team dipende ormai dal Dottore non solo dal punto di vista commerciale ma anche tecnico, eppure non soddisfa quest' ultimo che da tempo chiede cambiamenti drastici alla moto. Perché Yamaha è storicamente conservativa e non intende stravolgere la M1, i cui punti forti (la stabilità nelle curve d' appoggio che permette di guadagnare decimi in percorrenza) non sono più vincenti dopo la rivoluzione imposta dalle gomme Michelin. In questo modo però, le due parti ottengono il peggio l' una dall' altra: la moto ha un spesso un passo peggiore delle rivali e Valentino, che non è mai stato un sopraffino ingegnere, finisce per logorarsi prima del tempo e disperdere ai box energie che sarebbero utili per evitare errori nei momenti decisivi della gara, come invece è accaduto a Sepang e Valencia. Sono due gare che un Rossi sereno avrebbe probabilmente vinto. Ma la mente sgombra, il Dottore potrà averla solo con una moto all' altezza. di Claudio Savelli