L'ex mister del grande Parma

Nevio Scala: "Ronaldo grande acquisto, ma è Ancelotti al Napoli che sposta gli equilibri"

Matteo Legnani

Parma-Juve sulla carta pare una partita scontata, se non fosse per l' attesa del primo gol in A di Ronaldo («ci sarà, come Mandzukic. Dybala deve trovare la condizione. Giocare bene? Io voglio vincere», attacca il mister Allegri). Eppure negli Anni 90 era una sfida che valeva tutto, con rose superbe e un maestro come Nevio Scala sulla panchina degli emiliani, portati dalla B ai trionfi europei. L' ex allenatore è stato anche presidente dei ducali nella ripartenza dalla D in seguito al fallimento del club di Ghirardi e Leonardi, ma dopo poco più di un anno il rapporto è finito bruscamente dopo l' esonero del pupillo Apolloni, guida tecnica della prima delle tre promozioni consecutive. Raggiungiamo il 70enne maestro Scala al telefono in piena vendemmia, mentre è alla guida del trattore: «Si fatica lo stesso, ma senza lo stress del calcio». Scala, c' è Parma-Juve. Sarà assalito dai ricordi... «L' esordio in Serie A (Parma-Juve 1-2, 5-0 al ritorno), la finale di Coppa Italia 1992 (Parma-Juve 2-0), ma la più bella resta la doppia finale di Coppa Uefa del 1995. Segnò Dino Baggio all' andata (1-0) e al ritorno a San Siro (1-1). C' erano i miei figli in tribuna che a fine partita piangevano come bambini». Che partita sarà stasera? «La Juve mi piace, ha preso Ronaldo che dal punto di vista economico e sportivo è stato un affare straordinario. Non capisco chi lo critica per non aver ancora segnato, magari ne farà 40 nelle prossime 20 gare. Mi sembra un ragazzo straordinario, che riesce a non farsi schiacciare dalla sua popolarità». Un fenomeno straniero che va a completare la Juve. Un po' come il suo Parma, un grande gruppo di italiani - Minotti, Apolloni, Melli ecc. - ricco di stelle estere come Taffarel, Sensini e altri. «Era una squadra dei miracoli. Non per quello che abbiamo vinto, ma per il "come". C' era una grande simbiosi tra me, i giocatori, la società, i tifosi e la città. Una situazione da incanto, che non si potrebbe ricreare nel calcio odierno, suddito dei bilanci. Sul mercato cercavamo ragazzi di qualità e non fenomeni, anche perché non ce li saremmo potuti permettere. Volevamo uomini veri. Eravamo diversi da tutti gli altri, ed è la cosa che rivendico di più». Seppe tenere a bada persino le turbolenze di Asprilla... «I suoi primi due anni furono eccezionali, poi si è adagiato, sopraffatto dai grandi guadagni, e l' abbiamo perso». Il grande assente di oggi sarà Buffon, il suo ultimo «regalo» a quel Parma. Se lo immaginava ancora in campo? «È una mia creatura perché lo feci debuttare, ma poi i meriti della sua gestione sono di altri. Sapevo che sarebbe diventato un grandissimo, forse non mi aspettavo diventasse un simile campione. È stato aiutato ma lui ci ha messo del suo». Lei gestì i primi mesi di Gigi con attenzione, mentre Donnarumma è stato buttato subito nella mischia e sembra pagarne le conseguenze. «Se non hanno valori forti i giovani rischiano di perdere equilibrio. Gigio va aspettato, deve metabolizzare successo e guadagni, ma è un grande portiere e sarà l' erede di Buffon». A Parma il suo successore fu Ancelotti. L' ha stupita vederlo a Napoli? «Carlo è uno dei più grandi perché è modesto. Non l' ho mai visto esasperare una situazione. Lo ammiro per il suo equilibrio. Il Napoli ha fatto un gran colpo». Lei fu uno dei primi mister italiani all' estero: la difficoltà più grande? «La lingua. In Germania e Ucraina ebbi un bravo interprete che sapeva tradurre anche i miei sentimenti, in Turchia e Russia non trovai la stessa situazione. E se non riesci a trasmettere le tue emozioni non puoi lavorare bene». di Francesco Perugini