Sotto processo
Fabrizio Biasin: Perché l'Inter fa pena. Luciano Spalletti ha già perso le sue certezze
C' è questo problema fastidioso, difficilmente analizzabile, per certi versi inspiegabile e che non riusciamo a sintetizzare se non con le seguenti tre parole: l' Inter fa pena. E questo potrebbe sembrare un giudizio davvero troppo severo per essere solo alla seconda giornata, ma qui è il caso di esserlo, prima che sia troppo tardi e ognuno di noi si debba rimangiare le buone parole spese nel pre-campionato («che Inter ragazzi!») a colpi di «io l' avevo detto che finiva così! » (per noi è facile vincere sempre...). Ecco, al momento l' Inter è tutto tranne che «anti» qualcosa. Contro il Torino i nerazzurri sono sembrati la versione calcistica del celebre Fracchia la Belva Umana (1981, regia di Neri Parenti): nel primo tempo sono stati la Belva Umana (dominatori, cattivi, persino spietati), nel secondo Fracchia (fantozziani). Il totale è qualcosa di difficilmente spiegabile, traducibile e, forse, sintetizzabile soltanto con le seguenti otto parole: Spalletti non ci ha ancora capito una mazzafionda. La sensazione è che il tecnico dell' Inter, pur bravissimo (chi lo mette in discussione lo fa perché ha manie di grandezza e vorrebbe essere al suo posto), sia in questo momento alle prese con un' imprevedibile ma tangibile «indigestione tecnica». Un anno fa aveva 14, massimo 15 giocatori spendibili sul campo e quelli schierava, quest' anno se ne ritrova 4 o 5 di più e sembra vittima della «sindrome del goloso davanti al vassoio dei pasticcini»: mentre perde tempo a decidere se è meglio il cannoncino o il bigné si fa fottere da un Mazzarri qualunque (con tutto il rispetto). Il tecnico del Torino dopo un primo tempo osceno ha imposto ai suoi dei banali correttivi, qualcosa come per dire «questa è persa, tentiamo il tutto per tutto»; dall' altra parte ha trovato un collega non pronto a reagire: Spalletti ha lasciato il controllo del centrocampo ai granata (Gagliardini perché non gioca più? Ha la pertosse? Il vaiolo?), ha ritardato l' ingresso di Lautaro Martinez fino a renderlo inutile o quasi (in 3 minuti ha comunque fatto vedere di che pasta è fatto), soprattutto non è riuscito a dare ai suoi gli strumenti utili per rendere una «morbida» partita casalinga (al 45' vinceva 2-0), una partita «finita». La sfida con il Torino, signore e signori, era terminata, finita, conclusa dopo la rete di DeVrij. O meglio: così deve essere se vuoi andare oltre il pronostico degli esperti e diventare davvero una realtà che non vuole soffrire fino all' ultima giornata per garantirsi un posto in Champions (il vero obiettivo stagionale). L' Inter, forte di 7 nuovi acquisti e di fronte agli osanna dei media (ribadiamo: siamo noi che li abbiamo «pompati») invece di acquisire certezze se l' è fatta sotto, è andata in panico, è tornata alle incertezze di gennaio, si è sbriciolata come frolla di fronte all' errore del suo portiere che è sì grave, ma non decisivo (sei 2-1 in casa tua, sei l' Inter, che problema c' è?). L' Inter è in difficoltà psicologica e fisica, non tecnica. L' anno scorso vinceva perché correva di più, quest' anno è indietro di fiato e di attributi. Su questo deve lavorare Spalletti prima che le rotture di balle e i critici prendano definitivamente il sopravvento: faccia capire ai suoi che «Pazza Inter» è un motto buono per i titolisti, ma non può essere la realtà. I pazzi son buoni per il manicomio, non vincono le partite. di Fabrizio Biasin