Bergamaschi virtuosi

L'Atalanta vince e guadagna: bilancio chiuso con 27 milioni di utili

Matteo Legnani

Mentre firmava il bilancio dell' Atalanta, il presidente Antonio Percassi deve essersi sentito come un padre alla cerimonia di laurea del figlio: emozionato nel vedere il proprio erede farsi uomo, diventare improvvisamente grande. Perché in quel malloppo di fogli è rintracciabile la voce che testimonia la crescita della sua Dea: +26,7 milioni di euro di utile, calcolato al 31 dicembre 2017, e annunciato ieri dall' Atalanta in una nota ufficiale. Un «traguardo economico di grande rilevanza per la storia del club», un numero che ne testimonia l' ascesa del club nerazzurro, se si considera che un anno fa quella stessa voce presentava un +257mila euro che era già considerato un risultato sorprendente. Così la provinciale tanto orgogliosa di essere tale (è, tra i club "minori", quello con più presenze in A) sta diventando grande. Nei conti (il fatturato dovrebbe sfiorare i 100 milioni, per la prima volta nella storia) e sul campo, là dove la Dea di Gasperini gioca, ormai da due stagioni, da grande squadra. Ad un pubblico identitario ha aggiunto un' identità di gioco unica, e uno stadio di proprietà (acquistato dal Comune lo scorso maggio): tutto ciò che serve per proiettarsi verso le vette della A e rimanerci, come fosse quello l' habitat naturale. Il paradosso è che l' Atalanta si sta guadagnando uno status superiore grazie alle sue qualità da provinciale. La cultura del lavoro, la serietà, la fatica. Qualità che scorrono nelle vene dei bergamaschi, e che il club riflette. La crescita non è figlia di capitali iniettati dal presidente per comprare grandi giocatori ma di un progetto "umile", basato sulla valorizzazione di ciò che il club sa fare meglio: allevare giovani talenti. Ora questa abilità artigiana viene premiata da un allenatore - Gasperini - che i ragazzi non ha paura di lanciarli e il cui gioco è l' ideale culla per trasformarli in ottimi calciatori. In A, l' Atalanta è una mosca bianca, perché è raro che in un club il consolidamento economico e quello sportivo procedano paralleli. Qui l' uno non va a discapito dell' altro, semmai è il contrario, l' uno alimenta l' altro. Per dire: le cessioni dei migliori giocatori sono il perno attorno al quale la Dea consolida il bilancio (secondo "Calcio e Finanza", dal 1999 le plusvalenze hanno avuto un impatto del 30% sui conti) e in teoria dovrebbe indebolire la rosa, invece la squadra è migliorata nonostante le vendite (Gagliardini, Kessié e Conti, e il prossimo sarà Caldara). Un anno fa, a tre giornate dalla fine, era quinta con 65 punti, ora è sesta con 58 punti, ma comunque in zona Europa dopo aver sostenuto, da protagonista, l' E-League (girone con Lione ed Everton vinto e per un soffio sconfitta con il Dortmund ai sedicesimi) e la Coppa Italia (semifinale, persa con la Juve, dopo 22 anni). Dovesse qualificarsi di nuovo in Europa, l' Atalanta affonderebbe le radici in una nuova dimensione: avrebbe giocatori e marchio valorizzati e nuovi soldi (quest' anno dalla Uefa ha incassato 11,3 milioni) per «guardare con serenità agli importanti investimenti che il club ha programmato», come ha ricordato Percassi nella nota del club. Già, programmare è l' altra parola magica. Sapere oggi quello che si farà domani. E l' Atalanta lo sa: lo stadio Atleti Azzurri d' Italia sarà completato con due nuove curve (nel 2020, ma potrebbe slittare al 2021) con un investimento di 35 milioni mentre il centro sportivo Bortolotti, già all' avanguardia rispetto alla media italiana, sarà comunque migliorato con un investimento di 6 milioni. Sono questi i motivi per cui merita di essere grande, l' Atalanta. di Claudio Savelli