La storia

Andrea Melani, il sogno spezzato a 19 anni: "Dovevo giocare alla Juve, il mio cuore ha detto no"

Andrea Tempestini

A volte, quando si perde, si vince. Così è nella vita, così è nel calcio. La dolorosa scomparsa di Davide Astori è il pretesto per raccontare un’altra storia, che ha una premessa tristemente simile, ma un epilogo che dà conforto. Andrea Melani, 20 anni a maggio, è un ometto col viso pulito, un difensore, così come lo era Astori. E ha perso il privilegio di giocare a pallone quando, il 17 luglio del 2017, lo staff medico della Juve proprietaria del suo cartellino gli ha diagnosticato un problema al cuore durante una visita di routine. «Non posso più giocare a calcio», annunciava su Instagram il 17 gennaio. «Il lato positivo è che il problema non comporta pericolo nella vita quotidiana». Solo sollievo, nessun livore. Anzi: «Grazie, calcio» è la chiosa del suo post, dopo aver ringraziato le società che hanno creduto in lui: Casale Fattoria, Prato, Juve e Carpi. La tappa successiva sarebbe stata la Massese in Serie D, prima della maledetta diagnosi. Leggi anche: Morte Davide Astori, si indaga per omicidio colposo «Ho ringraziato il calcio perché sin da bambino era la mia priorità, volevo fare il calciatore da grande». Andrea lo dice con fermezza, rifuggendo la tirannia degli stereotipi del sogno spezzato o l’occasione perduta, con un pragmatismo che spiazza. «L’esito finale è arrivato solo a dicembre», prosegue nel racconto per certi versi terapeutico, con il solo filtro della modestia nelle sue parole, mentre la voce è profonda, già segnata da un viaggio che era appena all’inizio quando si è interrotto. L’accento tradisce le radici toscane, e l’epifania della sua infatuazione per il calcio risale proprio alla gioventù, quando da ragazzino arrivò il Prato, il primo amore. Poi c’è stata la Juve: «Mi vennero a vedere, feci un torneo con loro, a 14 anni: ho fatto la trafila nelle giovanili fino al prestito al Carpi Primavera, l’anno scorso». Nella sua memoria ogni dettaglio ha un significato peculiare: «Quando arrivai a Torino era già una grande vittoria». La Juve, e la vicinanza coi campioni, hanno plasmato l’ambizione, allargato le spalle, forgiato il carattere. E ha alleviato la solitudine: «Il club mi ha sostenuto molto: vorrei rimanere come osservatore, allenatore, oppure in dirigenza». Categorico il «no» quando gli si chiede se restare a contatto col calcio possa riaprire la ferita, anche perché Melani non ha seminato rimpianti. Anzi, uno: «Non ho mai avuto la maglia della Juve col nome sulle spalle». Un desiderio che fa emergere il lato più genuinamente infantile, la tenerezza, la semplicità dei sogni. «Ai miei coetanei consiglio di tenere sempre la testa sulle spalle. Io non ero arrivato, magari sarei finito in Eccellenza, ma mi sono goduto ogni momento». La tragedia di Astori, «grande uomo e calciatore, mi ha turbato, ma mi sono sentito fortunato». La sua forza, d’altronde, è tutta qui: non rassegnarsi, disobbedire al destino avverso, resistere. E tradurre la perdita in vittoria. Per sé stesso, per Astori e per tutti quelli che vivono di questo gioco. Che toglie e dà: come la vita. di Alberto Neglia