Robe da Sarri

Napoli, la dittatura in Serie A: dalle reti al possesso palla, la squadra prima in ogni classifica

Andrea Tempestini

È complicato capire quale sia il valore di una cosa mentre la si vede e la si vive. Ad esempio, qual è il posto nella storia del calcio italiano del Napoli di Sarri, capolista in solitaria 13 mesi dopo l’ultima volta (18 settembre 2016, quarta giornata dello scorso campionato)? È tra le migliori squadre di sempre? È inevitabile che la risposta dipenda dall’eventuale vittoria dello scudetto, viceversa il paragone con le migliori di sempre rimarrà a lei inaccessibile. Ci sono però sfumature oggettive che contestualizzano il Napoli, sia nel passato che nel presente. Come prima cosa non stupisce che il Napoli sia la capolista, il che testimonia come la posizione di vertice sia ormai il suo habitat corretto. Nella classifica dell’anno solare in corso, Sarri è primo con 72 punti in 27 partite, e Allegri, pur “scudettato” è secondo (68 punti in 28 partite). Se l’Inter a pari punti con la Juve in seconda posizione primeggia in difesa (3 gol subiti, anche se il Napoli è quella che concede meno tiri alle avversarie, 7, 3 a gara), gli azzurri dominano in tutto ciò che riguarda la fase offensiva: nei gol (3,57 a partita) e nei marcatori (già 11 diversi, seguono Fiorentina e Udinese con 8), nel possesso palla (61%), nei passaggi (740 eseguiti in media di cui 16,3 chiave, l’89,7% completati) e nei tiri (19,9 a gara di cui 9,4 nello specchio). Il Napoli è la migliore, ai numeri, quindi non le rimane che mantenersi in volo anche con il peso dei primati e delle aspettative. Dovrà confermare nel tempo (a partire dalla sfida all’Olimpico contro la Roma, dopo la sosta, il secondo scontro diretto dopo quello vinto 4-1 con la Lazio) di essere di un’altra categoria, ma senza pensare con presunzione di essere l’unica (la Juventus non è improvvisamente diventata più debole). La squadra di Sarri porta già con sé qualcosa di storico: è l’ottava a vincere le prime sette gare in A, ma la prima in assoluto a riuscirci segnando 25 gol come gli azzurri (almeno tre in ogni gara, cosa che accade da 11 consecutive considerando anche la passata stagione). Finora a compiere l’impresa erano riuscite solo Juve, Inter, Milan e Roma, il fatto che si sia aggiunto il Napoli è un piccolo certificato della dimensione da grande assunta dal club di De Laurentiis. Altri numeri posizionano invece il Napoli nell’élite europea. Ad esempio, il miglior attacco tra i massimi campionati europei con 7 giornate disputate è quello partenopeo: meglio di Barcellona (23 gol) e Manchester City (22). Solo il Psg ne ha segnati di più (27), ma con una partita in più a disposizione. Al di là dei numeri, il Napoli di Sarri sarà senz’altro ricordato come qualcosa di mai visto prima. È l’unico marchingegno meccanico del calcio che riesce a produrre un gioco artistico. Quella di Sarri da invenzione è diventata un marchio: il Napoli in Europa è riconosciuto per il suo gioco, nei salotti del calcio è un argomento abituale, ne parlano anche coloro che quel tipo di calcio l’hanno (re)inventato, come Guardiola (che affronterà gli azzurri in Champions dopo la sosta). Ma la grande novità è che questo Napoli non è un prodotto dell’Europa importato in Italia, semmai è un patrimonio autentico del calcio italiano che l’Europa vuole studiare e capire. È nostrano, il Napoli, perché Sarri è più “italiano” di quello che sembra, ovvero quasi niente. Il suo stile di gioco, prima che spettacolare è equilibrato. In sostanza, la spettacolarità non è il fine di Sarri, ma una conseguenza. Sono gli automatismi, studiati e confezionati in maniera scientifica, a rendere il gioco così godibile. E invidiato da tutti. di Claudio Savelli