Atleti da divano

Coni, arriva l'ok: i videogiochi sono uno sport

Andrea Tempestini

Se vostra moglie vi stressa proprio mentre - L2 più cerchio, oplà - vi state esibendo in un colpo di tacco acrobatico alla Ibra che umilia lo sconosciuto e saputello avversario on-line (solitamente scopri solo alla fine, vergognandoti, che hai insultato un povero adolescente) del nuovissimo Fifa 15, d’ora in poi siete autorizzati a mandarla a quel paese. E se mamma vi fa una testa così dicendovi di studiare anziché passare ore e ore a smanettare controchissàcchì davanti al televisore e bla bla bla, ditele pure di ripassare più tardi. Che adesso non potete distrarvi. Già, perché ora non ci sono più scuse: giocare ai videogame è uno sport vero e proprio. E, ovviamente, bisogna allenarsi per bene per non fare figuracce, per vincere, per diventare il numero uno e - perché no - per non correre il rischio di fastidiosi acciacchi del mestiere (ricordate il mitico Nesta? Ai tempi del Milan saltò quattro gare di campionato perché infortunatosi alla mano giocando alla Playstation!). La novità è questa: l’Asi (Associazioni sportive e sociali italiane) è stata riconosciuta dal Coni e ha dato vita al settore Gec, Giochi elettronici competitivi. Tradotto, se vi tesserate sarete trattati esattamente come qualsiasi sportivo, con gli stessi diritti (potersi esercitare) e doveri (un preciso regolarmente da rispettare). E con gli stessi obiettivi. Cioè diventare il numero uno, il fuoriclasse, il Messi dei videogame. L’occasione la daranno i Giochi elettronici competitivi: quelli riconosciuti finora sono “League of Legends”, “Fifa”, “Heroes of the Storm”, “Dota 2”, “Hearthstone”, “Starcraft 2”, “Street Fighter”, “Tekken” e “The King of Fighters”. «Quello che vogliamo fare - spiega Pietro Soddu, direttore operativo di Gec - è avvicinare le persone al concetto di gioco e istruire sul come giocare, in modo anche competitivo, nel rispetto della salute e della persona. Tutto questo con lo scopo di allineare l’Italia al resto del mondo dove la presenza di queste realtà è assai solida. Il 2014 è l’anno perfetto per osservare l’importanza di questo nuovo movimento: il “Sangam Stadium” di Seul è stato riempito da 40mila persone per le finali dei mondiali di “League of Legend”, il titolo dello sviluppatore “Riot Games”. E questo è solo un esempio». Sì, l’estero. L’Italia, in questo sport, è decisamente indietro, diciamo pure al primo quadro, tanto per restare in tema. La figura del player professionista, in alcuni Paesi esteri, garantisce uno stipendio alla pari, se non superiore, a quello di un qualsiasi tipo di sportivo. E, come nel caso del gioco “Dota”, i montepremi per i tornei ufficiali raggiungono cifre astronomiche, come i 10 milioni di dollari di quest’anno. Ma qualcosa, ora, sta cambiando anche da noi e due giocatori italiani, a inizio mese, sono riusciti ad accedere alle finali europee disputate a Stoccolma. Riccardo Romiti, in arte Reynor, 12 anni, appassionato di “StarCraft II”, è tra i primi 16 giocatori del ranking europeo e tra i migliori 200 al mondo ed è tesserato nel team svizzero MyInsanity (con un regolare contratto) che, oltre a curare tutti gli aspetti logistici e d’immagine, gli elargisce uno stipendio mensile garantito dagli sponsor: tra i 300 e i 400 euro al mese, cui vanno ad aggiungersi, ovviamente, i proventi derivanti dalle eventuali vincite ai tornei. Riccardo Giammanco invece, 25 anni, ha vinto il titolo europeo (per “HearthStone”, gioco di carte digitali) a Stoccolma conquistando così la finale mondiale, in programma a Los Angeles i prossimi 7 e 8 novembre, che metterà in palio 250mila dollari. E allora, se volete diventare bravi come i due Riccardi, non resta che smanettare sul joystick, tesserarvi e iniziare a vincere. Ma occhio al doping. Il regolamento del Gec, al punto 3.13, parla chiaro: niente alcol, niente droghe e divieto assoluto di fumo durante la gara. Sì, proprio uno sport per veri atleti. di Alessandro Dell'Orto