Papocchio all'italiana
Squalifica ridotta per Conte Una via di mezzo che scontenta tutti
di Giampiero Mughini Per la giustizia sportiva è l’ennesima stazione di quella sua via crucis eternamente zigzagante tra il dramma e la farsa. Per quelli che di mestiere odiano la Juve è un brutto giorno, relativamente orbo com’è di sangue bianconero. Per Antonio Conte è la notizia liberatoria che fra due mesi, la domenica 9 dicembre, sarà di nuovo ritto in piedi accanto alla panchina della Juve e non più rincantucciato in una tribuna o dietro un vetro fumé. Tanto tuonò in fatto di accuse all’allenatore che non poteva «non sapere» i brogli architettati dalle parti di due squadre da lui allenate prima di arrivare al timone della “fidanzata d’Italia”, che la sentenza di ieri pomeriggio conferma l’accusa di avere lui almeno una volta “omesso” la denuncia di tali brogli. Conte non è stato completamente assolto come avrebbe voluto a ogni costo, e difatti il suo collegio difensivo non è minimamente «soddisfatto» della condanna a quattro mesi. Seppure afflitto da una pena minimale, l’ex mister del Bari è stato dichiarato colpevole, e mentre Andrea Agnelli ci mette la sua faccia e il nome fastoso della sua famiglia nel dirsi convinto che Conte sia «completamente estraneo ai fatti». Dopo un estenuante saliscendi di accuse e falliti patteggiamenti e pene comminate da successivi tribunali sportivi, questa sentenza si avvicina di più al dramma o alla farsa? Come giudicare un processo in cui un cavallo di battaglia dell’accusa era che Conte avesse cacciato di squadra un suo giocatore che lui sì si opponeva al broglio, e laddove erano lampanti i certificati medici che attestavano che quel giocatore era bell’e infortunato? «Non poteva non sapere», insistono gli odiatori di professione della Juve, quelli che mettono nero su bianco che per 12 anni la Juve di Moggi e Giraudo ha “taroccato” i campionati, dato che non ce la faceva proprio a mettere la palla dentro con le sole forze di Zidane, Vialli, Del Piero, Trézéguet e di quell’altro fottìo di campioni del mondo del 2006. E quanto a un uomo di sport e a un valoroso allenatore come Zdenek Zeman (da me laudato su queste colonne) mi aspetto invece che si dica contento del ritorno alla prima linea agonistica del migliore allenatore dell’ultima generazione. Se Conte è in campo, è il calcio che vince e non le miserevoli partigianerie dall’una o dell’altra tribù di tifosi. Non conosco talmente di prima mano le carte di questo nuovo processo calcistico agostano, da concludere che l’impianto accusatorio generale fosse debole. Direi di no, a giudicare dal fatto che qualcuno degli imputati ha “patteggiato” la pena, e tra questi un collaboratore stretto di Conte. È tuttavia innegabile che il processo ha lasciato per strada delle vittime innocenti, puntualmente dimenticate dagli schiamazzatori anti-Juve, eccitatissimi com’erano dal fatto che tanti degli imputati avessero comunque a che fare con la famiglia bianconera. Non ho letto un granché sul fatto che un campioncino del nostro calcio (anche lui un ex calciatore della Juve), Domenico Criscito, è stato rapinato della partecipazione a un campionato europeo e sulla base di un’accusa che non aveva il minimo fondamento. Sarebbe stato lo stesso per un vicecampione europeo (e attuale giocatore della Juve), Leonardo Bonucci, se non fosse che l’allenatore della nazionale italiana - Cesare Prandelli - avesse creduto alla sua parola e non a quella del pagliaccio che lo accusava di avere partecipato ai brogli da protagonista. E a non dire di un ennesimo giocatore della Juve, Simone Pepe, accusato anche lui di “omessa denuncia” e seppure da uno che aveva dichiarato che Pepe di fare brogli non aveva la benché minima attenzione. Farsa o dramma? Tutt’e due le cose, purtroppo. Solo che il destino del calcio italiano, ossia della seconda o terza industria del Paese, non può restare appeso a una giustizia talmente estemporanea. Quando vengono buttate giù delle società o dei loro giocatori rappresentativi, sono in gioco non soltanto i sogni degli italiani che parlano di calcio la mattina al bar e si infiammano per l’una o l’altra squadra. Sono in ballo i miliardi di euro che fanno funzionare il giocattolo più amato degli italiani. Fa paura che il sistema calcio sia poggiato su piloni portanti talmente traballanti, a cominciare da come funziona la giustizia sportiva.