la vicenda open arms
Richard Gere e l'inutile lezioncina da miliardario
Non è solo Elon Musk ad essere interessato a ciò che succede in Italia. Richard Gere non è da meno: fra un’ospitata da Fazio e un’intervista ai giornali degli Elkann, l’attore americano non perde occasione per dire la propria. Ne ha il diritto: lungi da noi, che siamo liberali, parlare di “interferenze”, un concetto che a ben vedere nasconde solo la volontà di censurare le idee diverse dalle nostre. Anzi, nel caso di Gere, direi addirittura opposte. Nell’intervista rilasciata ieri a La Stampa c’è un buon distillato del Gere-pensiero. Per il nostro, Salvini sarà stato pure assolto dai giudici di Palermo, ma gli immigrati andrebbero comunque tutti accolti perché «siamo tutti rifugiati» e «se non riusciamo a specchiarci nelle sofferenze dei nostri fratelli vuol dire che, come razza umana, abbiamo fallito»; è inquietante e folle vedere «un mondo governato da miliardari» come Trump e Musk; la diffusione delle armi fra i privati è una «piaga americana».
PENSIERO HOLLYWOODIANO
Insomma, non c’è un argomento su cui il divo di Hollywood non sia fedele alla linea, che riflette con aderenza perfetta, idealtipica. Non l’ombra di un «pensiero laterale», eccentrico, irregolare. Sarebbe chiedere troppo: così come Napoleone era per Hegel lo «spirito dei suoi tempi» a cavallo, così potremmo dire che Gere lo è dei nostri ma in celluloide. Le sue idee sono quelle che, da qualche decennio, hanno corso nello star system e che da Hollywood si è cercato di diffondere nell’immaginario comune di tutto l’Occidente. Una pretesa che si è infranta contro la dura realtà dei fatti, cioè sulla resistenza del cittadino comune alle idee propinategli in nome di un atavico buon senso e del rispetto per tutto ciò che è tradizione.
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Come è noto, la mobilitazione dei dividi Hollywood nelle ultime elezioni americane non ha smosso un voto a favore della Harris, mentre forse l’ha addirittura penalizzata. Si vuole oggi forse ripartire dall’Europa, e dall’Italia in particolare, per riproporre un modello fallimentare? Si dimentica che il cittadino medio può anche apprezzare i film di Gere o le canzoni di Taylor Swift, ma sa ben distinguere i diversi ambiti di attività umana, né tollera intrusioni esterne in scelte, come quelle relative alla gestione dell’immigrazione, che hanno effetti sulla sua esistenza. Inoltre, egli sente irrimediabilmente lontana dalla sua la vita quelle degli esponenti delle élite intellettuali e dello star system, incapaci di immedesimarsi nei suoi problemi concreti e quotidiani.
Non amano, anzi temono, il mondo da loro prospettato, senza frontiere e confini, né fisici né intellettuali: sanno che in esso sarebbero irrimedialmente «perdenti».
Avvertono, altresì, che l’attenzione nei loro confronti è finta, ipocrita: sono in realtà disprezzati per i loro gusti rozzi e per le loro idee «deplorevoli». Altrettanto ipocrito è poi quel “buonismo” che Gere e i suoi sodali squadernano in continuazione. La “tirannia dei buoni sentimenti” cela spesso, come è noto, una inconfessabile sete di dominio. E non fa i conti con quella che dovrebbe essere la bussola di ogni politico: l’etica della responsabilità, cioè un’etica attenta alla conseguenza delle proprie azioni piuttosto che ad una narcisistico compiacimento per la “purezza” del proprio animo. È più «disumano» chi accoglie tutti gli immigrati o chi si preoccupa delle condizioni di vita successive sia di chi ha accolto sia di chi lo è stato?
IPOCRISIA
Fa poi una certa impressione sentire il miliardario Gere giudicare «follia un mondo governato dai miliardari». A parte l’ipocrisia, non si è chiesto il nostro se per caso non siano proprio le storie di successo di questi miliardari a confermere ai più la bontà del “sogno americano”, l’idea che chiunque può farcela se ha talento e si sacrifica? Non c’è da meravigliarsi se i tanti “dimenticati” li sentano molto meno lontani da sé di quanto possa esserlo un professore raffinato della Ivy League o un attore di successo che passa la vita fra sontuose ville, ricevimenti di classe e red carpet internazionali.