Il grande fiasco

Amadeus, perché il rovinoso flop su Nove è un disastro anche per il Pd

Francesco Specchia

Sicché il vero pacco, qui, è Amadeus. Quando, qualche mese fa, Amadeus traslocò dalla Rai a Discovery (non tanto per mancanza di soldi, ma per «mancanza d’affetto», disse allora), quel giorno avrebbe dovuto essere il prologo plumbeo dell’apocalisse delle tv pubblica. «La Rai ne uscirà sicuramente più povera, la televisione più triste», commentarono, in sintesi, dai partiti d’opposizione, e in uno stroboscopico cortocircuito politico-televisivo. Ma ora Amadeus col suo Chissà chi è copia dei Soliti ignoti, è stato stritolato, in sovrapposizione, nel prime time del Nove da Stefano De Martino. Il quale, appunto, l’ha sostituito nella conduzione di Affari tuoi su Raiuno- 5.2% di share e 926mila spettatori contro 25% con 4.4 milioni-. Ed ora, dunque, che ad essere più povera (un contratto di 10 milioni di euro per quattro anni a Amadeus non son bruscolini) e più triste non è la Rai ma proprio Discovery, be’, politicamente come la mettiamo?

UN PROBLEMA POLITICO
Perché qui, parliamoci chiaro, il problema non sono tanto gli ascolti. Non del tutto, almeno. Anche se oggi gli ascolti di Ama sembrano il bombardamento di Dresda. Anche se, da Mediaset, maliziosamente, uccidono l’uomo morto. E fanno notare che non solo il nuovo, strombazzato game show è stato superato dalla replica di un “telefilm” di Italiauno N.C.I.S. – Unità Anticrimine con 1.111.000 spettatori per 6.3% di share; ma pure che Chissà chi è «è stato trasmesso in access prime-time, in simulcast da tutti i canali Discovery. E che l’ascolto totale è stato pari all'8,7% di share (solo 0,2 punti in più rispetto alla scorsa domenica); e che è stato ampiamente battuto dal dato delle reti tematiche Mediaset, che complessivamente hanno ottenuto una share dell’11,4% (2.6 punti in più rispetto alla settimana scorsa)». Virgolettati implacabili dal Biscione.

Però, anche se i risultati d’ascolto sono terribili per una tv commerciale, bè non è quello il punto. I nuovi programmi, in genere, hanno bisogno di fidelizzazione. Solo Fabio Fazio è riuscito nel piccolo miracolo di spostare la massa critica del suo pubblico in blocco da una Raitre che, però, in quel momento, stava subendo un cambio di paradigma narrativo e, al contempo, una crisi d’identità. No. Serve tempo, la televisione che cambia pelle abbisogna di pazienza e di coraggio: vedi la progressione d’audience di Crozza il quale, sempre sul Nove provenendo da La7, era partito zoppicando, e poi è esploso. Serve tempo. E servono anche soldi. Discovery ce li ha. Ama crescerà. È una sicurezza.

 

 

 

I GUERRIGLIERI DELLA TV

Ma, no. Non è questo il punto. Qui il punto non è tecnico, è essenzialmente politico. Perché, identificando la nuova Rai di Giampaolo Rossi e Roberto Sergio come la “TeleMeloni” dell’epurazione facile, l’opposizione ha trasformato Fabio Fazio, Corrado Augias, Lucia Annunziata, appunto Amadeus e tutti gli dimissionari da viale Mazzini in tanti Che Guevara persi nella foresta boliviana. Eppure, i suddetti guerriglieri della libera televisione sono stati tutt’altro che epurati; se ne sono andati tutti di loro sponte, semplicemente perché hanno avuto offerte migliori.

Lo stesso Amadeus avrebbe dovuto rimanere, in Rai, uno e trino con contratti confermatissimi in virtù della sua mostruosa professionalità: e con gli stessi soldi di Discovery. Ma certo, se uno poi non si sente amato, be’, non si sente amato. Questione d’empatia. Non s’interrompe così un’emozione, come insegnava Walter Veltroni. Ma poi succede che ti accorgi che nessuno, in fondo è indispensabile. E questo concetto va oltre le sparate politiche e martirologiche su una Rai in stile Crono, voracemente lottizzatrice e sempre pronta a divorare i suoi figli e i diritti civili dei suoi abbonati. Arriva il momento in cui ti accorgi che può funzionare anche il “Piano B”. E che uno come De Martino (il cui agente, il potente Beppe Caschetto, è riuscito ad imporre un cachet di 8 milioni di euro per 4 anni, e anche altri suoi conduttori sparsi nei palinsesti, in una logica “di pacchetto”) può anche essere un buon surrogato dell’imbattibile Amadeus.

Epperò. Com’è stato possibile che Ama non abbia scippato neanche uno spettatore dei suoi ex dei tempi di Raiuno? Semplice. De Martino non soltanto ha iniziato la programmazione con due settimane d’anticipo rispetto al diretto concorrente; ma non ha modificato di una virgola la struttura di Affari tuoi. Gli altri erano Che Guevara, e lui ha fatto il semaforo. A dimostrazione che, specie per il servizio pubblico e specie nei game show, conta la forza del formate non quella del conduttore. Basta aver memoria. A consegnare i preziosissimi “pacchi” nell’access time della rete ammiraglia, nei decenni, ci sono passati in parecchi; Paolo Bonolis (il primo a riuscire a battere Striscia la notizia nella sua fascia), Pupo, Antonella Clerici, Flavio Insinna, Max Giusti, Carlo Conti e finanche Amadeus. Ognuno con collaudato successo, ognuno con uno stile personale che si è perfettamente inguantato al programma. Certo, esistono pure presentatori che sono il programma, come Giovanni Floris ai tempi di Ballarò, o la Clerici con La prova del cuoco, o in parte il medesimo Amadeus con i suoi Festival di Sanremo ritarati sul pubblico giovane. Ma, insomma, il 25% di share è tanta roba.

 

 

 

TANTA ROBA

E, tecnicamente, De Martino, un factotum dello spettacolo, è cresciuto parecchio. Certo, era l’unico rimasto. Ma già con Bar Stella e la festa dello scudetto del Napoli dallo stadio Maradona le sue quotazioni erano lievitate nel quasi-silenzio dei media. E De Martino non ha i volteggi di Bolle, però fisicamente lo ricorda. Non possiede le dita a farfalla di Bollani o il genio di Arbore, però sta accumulando tecnica di base. Non è Fiorello, ma ci sta lavorando. Non si può dire neanche che sia nata una stella: il ragazzo è avanzato nella galleria del vento del successo faticosamente, in molti anni di gavetta. Non è più il signor Belen, e s’è affrancato dal gossip. Certo, poi magari, ad esser tignosi, si potrebbe aprire un capitolo sull’anomalia italiana di due programmi concorrenti in preserale su due canali e due broadcaster concorrenti, confezionati dallo stesso produttore, Banijay. Ma questa è un’altra storia...