Il caso
Luciana Littizzetto sfotte i caduti italiani
La battuta era infelice (l’interessata direbbe «faceva cagare»), uno schiaffo gratuito alle forze armate italiane, dipinte come un esercito eternamente allo sbando, abbonato alla sconfitta e buono solo a organizzare spaghettate e tornei di calcetto. Luciana Littizzetto però non deve abbattersi, malgrado le critiche contro di lei siano partite ad alzo zero. Per gli umoristi che non fanno più ridere, da qualche tempo si è aperta la strada della politica. Senza scomodare Donald Trump, che dopo il match alla Casa Bianca ha definito Volodymyr Zelenski «comico modesto», e restando nei nostri lidi, basta pensare a Beppe Grillo; cos’era prima di fondare il Movimento Cinque Stelle e cosa è diventato adesso...
«Noi italiani non siamo capaci di fare le guerre, facciamo cagarissimo a combattere, guardando i libri di storia si vede che, da Caporetto alla campagna di Russia, fino alla Grecia, sono più le volte che abbiamo perso», si sganascia l’attendente alla risata di Fabio Fazio, che invece non batte ciglio, neppure un «Lucianina, dai», a reclamare un po’ di rispetto per i nostri soldati, specie quelli morti al fronte. A volte essere patrioti servirebbe, almeno a mantenere il buon gusto, se non il sentimento nazionale, e a evitare figuracce. Il macabro sarcasmo di Littizzetto infatti non è passato impunito. Su internet è scoppiata una contestazione di rara forza, con la comica accusata in un post diventato virale di «insultare chi serve l’Italia con dedizione invece di fare ironia» e un altro, anch’esso rilanciato ossessivamente, che la rimprovera di essere «irrispettosa verso chi ha giurato di difendersi». Noi di Libero non siamo bacchettoni, siamo sempre stati per il diritto di satira.
Però sparare alle spalle non è una pratica divertente, ancor meno lo è cercare di far ridere evocando carneficine dove hanno perso la vita decine di migliaia di giovani italiani, spesso dopo gesti e resistenze eroiche che, abbiamo scoperto, per Lucianina valgono meno di un peto. Ci hanno sempre indignato i limiti che il politicamente corretto e la cultura woke hanno imposto alla libertà di farsi beffe di tutto, anche perché i divieti erano spesso strabici: se parti da sinistra, ti è concesso di osare di più, su temi sensibili per i progressisti vige una sorta di censura, sui valori più vicini alla destra, è consentito andare oltre. Forse questa prassi sbilenca ha confuso la soldatessa di Fazioland, in licenza domenicale dal cervello; però stavolta no, non ci sono scuse, Littizzetto meriterebbe che quel cicisbeo del suo superiore la mettesse in consegna per basso tradimento. Che dire poi della letterina a Ursula von der Leyen nella quale era contenuto l’insulto ai nostri militari, dove Lucianina si sforza di dissuadere la presidente della Commissione Ue dall’imbarcarsi nell’avventura di creare un esercito comune dell’Unione? Avrà mandato in solluchero Vladimir Putin, visto che è una resa preventiva. «L’Europa è nata per fare la pace, non la guerra», affonda nella retorica come finora mai neppure Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni, quasi che il ReArm fosse la riedizione dell’Operazione Barbarossa lanciata da Adolf Hitler contro la Russia di Josef Stalin e non invece un piano di sicurezza per evitare la fine della Polonia nel 1939 e dell’Ucraina nel 2025. Purtroppo su una cosa la pacifista con i confini altrui ha ragione; quando ricorda a Ursula che «se i 27 non riescono a mettersi d’accordo su quanto dev’essere lunga una zucchina» come fanno ad assemblare un esercito? Potrebbero prendere esempio dal campo progressista che sarà in piazza sabato prossimo a Roma per la pace e per la resistenza, per l’Europa e in dissenso con l’Europa, per le armi e per il welfare. Tutti divisi, ma uniti solo dalla paura del nemico, che per la sinistra italiana non è né Vladimir Putin né Donald Trump, ma Giorgia Meloni.