Fenomenologia

Fabio Fazio, odio zuccheroso da salotto chic

Giovanni Sallusti

Assistere a una puntata di Che tempo che fa è un’esperienza assai istruttiva (certo, se uno riesce a ignorare il fatto che è domenica sera). Equivale a un’immersione nella bolla ideologica, ma nella sua versione ciarliera, zuccherosa, avvolgente. Fazio non va all’attacco come Formigli o Floris, che ti dicono esplicitamente: noi facciamo giornalismo militante contro “le destre”. Quella è ancora una forma di gramscianesimo, un tentativo (sempre meno riuscito) di egemonizzare il racconto. Fazio è oltre: a lui, più che la tradizione comunista e i suoi eredi, interessa il luogocomunismo liberal, interessa distillare e diffondere i dogmi (radical) chiccosi che ti fanno fare bella figura in società.

E che oggi si traducono in un caso spettacolare di mondo al contrario. Pronti via, il nostro affianca a Cecilia Sala la coppia d’attacco del mainstream Aldo Cazzullo-Massimo Giannini. Si inizia bombardando il raduno dei Patrioti a Madrid, col moderato Cazzullo che parla di «collezione di mostri» e il sobrio Giannini che rilancia con «feccia nera», il tutto in una trasmissione annunciata contro l’odio. Fazio reitera risolini, non troverete un carico esplicito da parte sua, è lì apposta per edulcorare la mostrificazione dell’avversario e spacciarla per buona conversazione. Giannini riesce persino a ripescare a sua insaputa un classico della retorica fascista, quando ci informa che gli Usa dell’odiatissimo Trump sono governati da una «plutocrazia onnipotente».

 

 

 

Ma il massimo la compagnia di giro lo raggiunge su Gaza. Qui Fazio si espone, perché sul tema va in ansia da prestazione, vuole dare le carte del salotto pro Pal. «Abbiamo visto i tre ostaggi israeliani liberati con la consueta teatralità, allo stesso modo poi gli ostaggi palestinesi...». Eccola, l’equazione oscena presentata come chiacchiera amabile: i detenuti nell’unica democrazia del Medio Oriente condannati per terrorismo sono «ostaggi» al pari dei civili sequestrati a casaccio e seviziati dalla banda nazi-islamica di Hamas. Gli ospiti non aspettavano altro, si fiondano a concionare contro «il palazzinaro newyorkese» (Giannini) che vuole «deportare in modo criminale» i palestinesi (Cazzullo). Anche Cecilia Sala deraglia e invita a «fare resistenza contro il Male», cioè contro la «pulizia etnica» di Gaza, senza avvedersi dell’ironia tragica per cui Asse della Resistenza è il nome che si dà la piovra islamista manovrata dai suoi carcerieri, gli ayatollah (e dire che fino a lì era stata la più lucida, ad esempio ricordando che «tanti ucraini hanno visto in Trump una speranza», col conduttore che si è precipitato a parlare d’altro).

 

 

 

Ma l’essenza del Fazismo come doppiopesismo permanente è emersa durante l’intervista al collegato Bill Gates, che retrospettivamente ci ha fatto rivalutare il ragionier Fantozzi di fronte al mega-direttore quale esempio di schiena dritta. «È con noi uno dei più grandi geni dell’umanità, capace di dare forma al futuro, grazie...». Tutto questo miele veniva profuso da chi aveva appena finito di descrivere Elon Musk come la reincarnazione miliardaria di Heinrich Himmler. I “visionari” straricchi possono essere canaglie o benefattori, dipende dalla loro aderenza all’agenda di Che tempo che fa. Tra le domande più incalzanti si segnala «Lei, in cuor suo, sapeva che sarebbe diventato Bill Gates?», roba che fa impallidire il fuoco di fila di David Frost contro Nixon.

Il gran finale però è la vera prelibatezza per i palati della gauche caviar: ecco a voi la «militante antifascista» Ilaria Salis. La quale ci illustra la sua attività benemerita: «I movimenti di lotta perla casa occupano case del patrimonio pubblico sfitte, perché c’è un sistema che non funziona». E qui Fabio riesce a essere più salisiano di Ilaria: «Quindi entrate nel tentativo di regolamentare la distribuzione delle case pubbliche?». La violazione rivendicata della legge come caso di “regolamentazione”: sono vette di neolingua che nemmeno Orwell aveva immaginato. Ma raggiunte con andatura felpata, tono pacato, sorrisetto discreto, capovolgendo la realtà così, un passo alla volta, una domanda inginocchiata alla volta, un’allusione al “regime” che non c’è alla volta. È oltre la propaganda, è la bolla che ti assorbe per esaurimento. Meno male che vicino c’era il telecomando.