l'intervista
Agostino Saccà smonta la sinistra: "Ma quale crisi, il cinema italiano ora è rinato"
Gli artisti si mobilitano contro i cinema chiusi a Roma. Il Partito democratico cavalca l’onda ma si scontra con i dati: cercare di far passare questo governo, e in generale la destra, come nemici del cinema fa a pugni con i dati veri che, al di là della chiusura delle sale romane avvenuta nell’indifferenza decennale di Zingaretti, gode invece di salute, se non ottima, più che soddisfacente. Lo sottolinea Agostino Saccà, giornalista, due volte direttore di Rai1, ex dg Rai, dal 2003 al 2008 al timone di Rai Fiction, da oltre dieci anni attivo nel cinema con la Pepito Produzioni (marchio di fabbrica della miniserie Rai Mameli e dei film Hammamet e Favolacce).
Chiudono i cinema nei centri storici ma i film italiani vanno bene secondo i dati Cinetel. Come mai?
«Già nel 2024 il cinema italiano ha vissuto un risveglio rispetto al 2023. I dati che riguardano l’inizio del 2025 ci dicono che da parecchie settimane i titoli italiani sono tra i primi dieci posti per incassi. Ci sono stati successi imprevisti, come Il ragazzo dai pantaloni rosa o Vermiglio: stiamo assistendo a una rinascita che è opera di registi giovani. Ciò è potuto avvenire grazie alle risorse impegnate a favore del settore di cui hanno beneficiato anche le piccole e medie produzioni, quelle cioè che fanno ricerca e sviluppo, mentre le grandi lavorano con gli algoritmi».
Si è voluto dipingere il governo di centrodestra come nemico del cinema, intenzionato a tagliare le risorse.
«C’è stata una spinta a tagliare le risorse ma questo governo ha tenuto duro, in particolare proprio la premier Meloni, forse anche per l’importanza che l’industria dell’audiovisivo ha a Roma, la città di Meloni, e nel Lazio. C’è poi un fatto non sottolineato da nessuno ma molto importante: nel testo che regola le quote di acquisto dei film italiani e europei da parte delle tv il nostro governo, seguendo il modello francese, ha privilegiato la quota italiana rispetto a quella europea. Quindi non solo non ha tagliato le risorse ma ha seguito un modello utile al rilancio del cinema. In Francia il cinema va molto bene anche perché è stato fatto un investimento sulla ristrutturazione delle sale che da noi è mancato. $ vero che i cinema nei centri storici chiudono ma si moltiplicano gli schermi in periferia. Io direi che stiamo assistendo a un miracolo inaspettato: il cinema è vivace e si sta ringiovanendo. Magari l’attuale ministro della Cultura, che è un uomo colto e un cinefilo, dovrebbe pensare a modifiche importanti, quote differenti di tax credit perle grandi imprese e per quelle più piccole. Le grandi, che fatturano ognuna circa 90 milioni l’anno, hanno preso negli ultimi due anni i due terzi del tax credit».
Altro terreno di scontro permanente è la Rai. La sinistra imposta la sua propaganda affermando che con TeleMeloni l’azienda perde spettatori e credibilità.
«Anche su questo è bene vedere i dati. La Rai in prime time nel primo mese di quest’anno ha due punti e mezzo in più del gennaio 2024. Il Tg1 ha un punto e mezzo in più col 25.6 di share rispetto al 24 di un anno fa. Alla Rai servono soldi e manager esperti. Quella di TeleMeloni è una sciocchezza. Il management non è stato rinnovato. Si tratta la Rai come se fosse una Asl: con un tetto agli stipendi. Chi ha governato la Rai e di fatto ancora la governa con undici direzioni in mano al centrosinistra da 15 anni non si è occupato di rinnovare il management, perché alla selezione oggettiva si è sostituita la selezione per appartenenza.
Penso che Giorgia Meloni dovrebbe metterci la testa: sarebbe un delitto trascurare la Rai, che è la più grande industria culturale del Paese, un luogo centrale per l’informazione. Se il 60% di quelli che guardano la tv vedono i tg della Rai ci sarà una ragione».
Però la Rai usufruisce del canone...
«Il canone Rai era 130 euro e con una legge è stato abbassato a 90 euro e poi di quei 90 euro il governo si è tenuto circa 15 euro. $ qualcosa di incredibile. La Rai è stata sfruttata dal sottopotere politico assumendo giornalisti: ce ne sono 2.400, sono molto importanti ma forse sono un po’ troppi. Il punto è che oggi il sovrano non riconosce nella Rai il suo Mecenate. Prendiamo la Eiar e Bottai, che è stato il Mecenate di Mussolini. Lui era uno straordinario organizzatore culturale e non a caso tutta l’intellettualità italiana era fascista. Bernabei è stato il Mecenate di Fanfani, era lui che faceva lavorare Fellini e Antonioni. Oggi la Rai è l’unico Mecenate che esiste in Italia».
A proposito di serie di carattere storico, che ne pensa della serie M il figlio del secolo?
«Non l’ho vista tutta ma da quello che ho capito mi pare che non sia completamente riuscita, la serie racconta solo un pezzo di verità. Eravamo più liberi quando realizzammo la serie tv Il giovane Mussolini che abbiamo fatto trent’anni fa, quando ero vicedirettore di Rai2. Allora potevamo usufruire del clima lasciato in eredità da un grande storico come Renzo De Felice, che col suo lavoro monumentale raccontò la verità storica del fascismo. In Italia c’è un vizio delle classi dirigenti: quando arrivano al potere demonizzano quelli che sono venuti prima. Il fascismo fece lo stesso con l’Italia liberale e a sua volta ha subito una damnatio memoriae. Sfidare la damnatio memoriae è un compito che gli intellettuali si devono assumere cinema e fiction debbono assumere. Noi lo abbiamo fatto con il film Hammamet, che io ho prodotto, e che è stato visto al cinema, in tv e sulle piattaforme da sette milioni di persone. Abbiamo aiutato il Paese a elaborare il lutto, a inquadrare storicamente il periodo del potere craxiano quando l’Italia divenne la quarta potenza industriale del mondo. La serie M il figlio del secolo è stata in fondo un’occasione persa: tu hai la possibilità di spendere 60 milioni e mi fai un feuilleton?».