La fiction delle polemiche
Marinelli Mussolini, più Totò che Duce. Cosa non torna in "M - Il figlio del Secolo"
La minaccia arriva subito ed è perentoria: «Guardatevi attorno: sono ancora tra voi!». Lo psicodramma sul fascismo e sul suo capo è in onda su Sky, preparato come evento epocale, imperdibile pietra miliare della cultura politica o della politica culturale, tanto per alcuni sono la stessa cosa.
Macché kolossal tv: “M.” è un “molossal” che abbaia in romagnolo e azzanna con la dentiera di gomma senza lasciare il segno, come un banale scherzo di carnevale, mostro ipertruccato che invece di spaventare finisce per diventare quasi un compagnone da prendere in giro per le sue forzature. È il Benito Amilcare Andrea Mussolini proiettato dalle pagine di Antonio Scurati allo schermo, col celebrato Luca Marinelli che parla come Giuseppe Giacobazzi, e meno male che il figlio del fabbro di Predappio era socialista rivoluzionario e non sindacalista altrimenti ascoltandolo si rischiava di scambiarlo pure per un Maurizio Landini ante litteram che esorta alla rivolta sociale.
Il ricorso sistematico alla cadenza dialettale è stucchevole, eppure gli sceneggiatori gli fanno pronunciare sempre correttamente proprio l’unica parola che proprio non gli veniva fuori in italiano corretto, quel «fassismo» che lui aveva inventato. Un involontario contrappasso comico. «L’uomo del secolo», come da sottotitolo scuratiano, è arrivato cronologicamente prima ma abbondantemente dopo il personaggio di Totò in «Siamo uomini o caporali?», anche se all’epoca non c’era davvero nulla da ridere.
Lui che nella parabola terminale dell’esperienza storica riscoprì le radici rosse nel nero funereo della Repubblica di Salò e confezionò «la bomba» (la chiamava così) della socializzazione delle fabbriche, mai fatta deflagrare, è stato trasformato in una macchietta per fare soldi e in fenomeno mediatico, incasellato negli schemi e in una banalità che pretende di spiegare tutto senza spiegare niente.
La fiction Sky non è un prodotto sciatto: più teatrale che televisivo, è solo esageratamente pretenzioso e stucchevolmente velleitario. E' una collezione di immaginette, di stereotipi predisegnati, ammantati con una spolverata di filosofia di grana grossa e a tesi preconfezionata. D’altronde le mani avanti su “M.”, in tutte le declinazioni, sono state messe giocando di ambiguità sul romanzo travestito da saggio e sulla fiction che occhieggia al documentario senza essere neppure un film ma una miniserie.
BISOGNA RESISTERE
Mini? Otto puntate, tanto per cominciare col primo tomo, e per arrivare alla fine ci vorrà davvero tanta resistenza, stavolta con la “r” minuscola. $ stato pure arruolato un regista inglese, per darsi la patina di superiore alterità titolata: quel Joe Wright che aveva stupito con «L’ora più buia» e la figura di Winston Churchill e che ha scelto le sole tinte plumbee per la figurina di Mussolini in camicia nera (stando alle sue dichiarazioni, ha dovuto andare a leggersi chi fosse e cosa ha fatto).
Visione claustrofobica, inserti documentaristici, un occhio strizzato a spezzoni alla Sergej Ejzenštejn (sì, proprio il grande regista sovietico ridicolizzato da Fantozzi nel cineforum aziendale), ambedue gli occhi sbarrati davanti alla telecamera (lo faceva anche Ollio nelle comiche di Hal Roach), lampi psichedelici per sottolineare la compiaciuta violenza squadrista (come in «Arancia meccanica» di Stanley Kubrik, ma senza la musica di Beethoven e Rossini).
Le prime due puntate della dimenticabile telenovela in orbace hanno mantenuto le premesse e le promesse: confezionato come un hamburger da fast food che in ogni parte del mondo può piacere a tutti e un tocco di lasagna in salsa romagnola per un tocco di originalità e piacere soprattutto in Italia. Mussolini è qui uno psicotico nevrastenico, tutto scatti e gesti, invidioso di Gabriele d’Annunzio persino nella virilità ostentata, tanto neppure il Vate si salva dalla banalizzazione in caricatura.
Della statura intellettuale di una Margherita Sarfatti, qui quasi sempre infoiata, non c’è traccia, e il suo salotto con un ridicolizzato Filippo Tommaso Marinetti che declama «Zang Tumb Tumb» trasformando il Futurismo in barzelletta diventa involontaria parodia degli esistenzialisti capresi di «Totò a colori». $ proprio la chiave interpretativo-esplicativa della fiction, per piacioneria e per solleticare la pancia a un pubblico di bocca buona, a pendere con dolciastra pervicacia verso la farsa semplificativa di quella che è stata una tragedia complessa.
LE COMICHE
Qualche banale esempio: il fascista che al racconto di Mussolini pilota (ma non era ancora pilota) del problematico volo su Fiume (con un anacronistico biplano moderno, mica con lo S.V.A. 10 del 1919) urla «Abbasso la bora!»; Vittorio Emanuele III fatto arrampicare su una specie di trono alla Camera per evidenziare che con le sue gambette non tocca il pavimento e che parla piemontese come Macario; le accelerazioni nei movimenti dei deputati come nelle prime comiche.
La parodia di una parodia e la caricatura di una caricatura. Bravo, invece, il protagonista Luca Marinelli: sarà stato il metodo Stanislavskij inoculato in dosi massicce, sarà stata la sua esperienza di attore che piace alla gente che piace, eppure delle conclamate e sbandierate macerazioni e lacerazioni interiori e di coscienza per aver “dovuto” interpretare Mussolini, lui che è stato tirato su a latte e antifascismo e svezzato dalla nonna con la tessera annuale dell’Anpi, non s’è intravista alcuna traccia.
Ma di noia se n’è vista e percepita davvero tanta nelle prime due puntate di questo prodotto televisivo da studio, che paradossalmente potrebbe avere pure successo. Sarà un caso o forse un maledetto scherzo del web, ma se su Google si digita «La noia» appare subito il trailer di “M.” prima del video di Angelina Mango. Eccolo, il vero manifesto: non è mica Moravia, sono solo canzonette.
“M.” di carta e di pixel non è infatti un affresco del fascismo né una biografia di Mussolini, è solo una verniciatina a tinte scure con la pennellessa.
E non occorre neanche guardarsi attorno: “Lui” e le camicie nere non sono affatto tra noi perché appartengono al libro della storia di cui è stata voltata la pagina da decenni, definitivamente.
Andrà a finire che per conoscere e capire il fascismo e Mussolini bisognerà andarsi a (ri)leggere Renzo De Felice ed Emilio Gentile, e non accontentarsi di Scurati. Eccola, la buona notizia.