L'intervista

Gianmarco Tognazzi rivela: "Con mio padre Ugo il cinema era a tavola"

Daniele Priori

Due mondi si incontrano a Velletri, cinquanta chilometri da Roma, tra i boschi del Monte Artemisio e le vigne di una tenuta che già solo dal nome è evocativa: la Tognazza. Le vite e gli affetti di due grandi amici: il comico con la passione irrefrenabile per la cucina, Ugo Tognazzi e il ristoratore musicista, lo chef Benito Morelli che, nei suoi quasi 90 anni di vita, ha deliziato i palati dei grandi della terra passati per Palazzo Chigi ma ogni giorno cura anche il gusto dei suoi concittadini nello storico ristorante Da Benito al bosco. E proprio lì, ieri, in una rimpatriata di amici, vip e non solo: da Bruno Vespa a Rosanna Lambertucci, da Luca Sardella a Simona Izzo, lo chef Benito ha presentato al pubblico il suo libro La cucina delle stelle, edito da Mondadori.

Ospiti d’onore quelli che si sono definiti “figli acquisiti” del ristoratore; i fratelli Ricky e Gianmarco Tognazzi più che mai di casa da Benito al Bosco dove hanno celebrato tutte le tappe più importanti della loro vita: matrimoni, battesimi e anche il commiato dal papà Ugo, sottolineato con tutte le creazioni culinarie ideate da Tognazzi. Ne abbiamo parlato con Gianmarco Tognazzi, classe 1967, attore a sua volta, con una carriera lunga che lo ha visto anche arrivare, come co-conduttore, sul palco del Festival di Sanremo e di recente coprotagonista di serie di successo come Non ci resta che il crimine e Call my Agent.

 

 

 

Gianmarco, attore e contadino, vignaiolo, appassionato gestore della tenuta creata da suo padre. Come vive questa doppia dimensione?
«Io presto finalmente abbandonerò definitivamente le scene che per me sono diventate un hobby che faccio con piacere ma con chi mi dà delle opportunità di fare anche cose diverse, basandomi soprattutto sui rapporti interpersonali prima che su quelli lavorativi... (Sorride) Però, a parte gli scherzi, il mio lavoro ora è e rimarrà il vino».

Certamente nelle campagne di Velletri sta curando una parte importante dell’eredità di Ugo Tognazzi...
«Io sono nato e cresciuto qui dove lui ha scelto di mettere in piedi il suo sogno enogastronomico, tutto votato ad avere una campagna che potesse diventare orto, serra, frutteto, uliveto e generare il biologico, il chilometro zero in tempi non sospetti. Parliamo degli anni ’60... Poi sono anche scappato come tutti i giovani che ambiscono alla città. Ma poi il richiamo mi ha riportato qui in quella che lui battezzò la Tognazza e io ho trasformato in una azienda vitivinicola vera e propria che ho anche ribattezzato libero territorio perché mi piace pensare che la Tognazza sia in realtà in una sorta di stato a parte che sia appunto un libero territorio».

Beh, allora questo libero stato ha anche una ambasciata sul mare, il mitico Villaggio Tognazzi a Torvajanica...
«Quello seguiva un po’ la stagionalità delle nostre vite. Da ottobre a maggio quando c’erano le scuole eravamo qua a Velletri, poi da giugno ci spostavamo al mare. Sono due territori che Ugo ha non soltanto amato, ma ha sposato e per i quali si è speso anche molto».

Lei ha detto che lo chef Benito Morelli è stato per lei un secondo papà...
«Sì, perché avendo perso mio padre abbastanza giovane ho trovato in lui sempre un riferimento».

Anche il ristorante di Benito quindi è stato ed è qualcosa in più per lei e i suoi fratelli...
«È il trait d’union in tutte le circostanze. Nelle feste comandate, nelle ricorrenze, nella vita privata. Tutto ciò a partire dal confronto enogastronomico tra Benito e Ugo, due amici con la passione per la cucina che si ritrovavano in qualsiasi momento per elaborare nuove idee e sono riusciti anche a unificare due territori italiani».

In che senso?
«Beh, Ugo era un nordico trapiantato qui nel Lazio mentre Benito è originario di qui. E quindi c’erano riferimenti gastronomici molto, molto diversi che li hanno aiutati a confrontarsi, a inventare cose nuove. Loro sono stati dei grandi anticipatori di quella che poi è diventata anche una moda».

 

 

 

Un piatto inventato da suo padre che ricorda con particolare gusto?
«Difficile dirne uno perché amava sempre cambiare. Però sicuramente possiamo citare la spigola ai funghi porcini nata grazie a un signore passato di qua con dei funghi raccolti sul Monte Artemisio. Li comprarono e ne trassero l’ispirazione per un piatto che è ancora nel menù del ristorante».

Ma è vero che a fine cena ai suoi ospiti suo padre chiedeva il voto?
«Tenga conto che a casa c’erano cene con ospiti cinque giorni a settimana. Occasioni che, nella convivialità, diventavano anche il il modo di inventare i personaggi, le storie, perché poi a tavola c’erano sceneggiatori, registi, produttori e non solo. A volte anche il meccanico che era venuto a riparare il trattore veniva costretto in qualche modo da Ugo a fermarsi e alla fine i commensali dovevano esprimere segretamente il loro voto che andava dal sufficiente, buono, ottimo cagata, grande cagata, grandissima cagata!» (Ride).

Siete stati una grande famiglia ma tra voi eredi Tognazzi siete quasi tutti... fratellastri. O vi sentite veri fratelli?
«Quello di fratellastri per noi è sempre stato un concetto molto vago perché in realtà siamo stati la prima famiglia allargata con quattro figli di tre madri diverse, di diversa nazionalità. Alla fine mia madre Franca, che purtroppo ci ha lasciato due mesi fa, è stata la mamma di tutti quanti noi. Posso dirle anzi che il fatto di avere madri diverse non l’abbiamo proprio mai vissuto come qualcosa che potesse creare problematiche familiari. Anzi, penso che siamo più uniti noi di tanti fratelli nati dalla stessa madre».