L'autore di Gomorra

Roberto Saviano: "Celentano non risponde a Teocoli? Una forma di protezione"

"Una dichiarazione di lealtà e cura": così Roberto Saviano ha definito la risposta di Adriano Celentano a Teo Teocoli. La questione è nata quando il comico ha detto che da anni prova a chiamare il cantante senza però ricevere risposta e che questo gli ha provocato un forte dispiacere. Il Molleggiato allora gli ha risposto così: "Teo, io non ti rispondo perché ti voglio bene. Continua pure a chiamarmi, e io non ti risponderò". Parole che a quanto pare l'autore di Gomorra non solo riesce a comprendere ma apprezza pure.

Lo scrittore riconduce tutto al male insito nei cellulari. "Il telefono rende ciascuno raggiungibile al punto che il non rispondere si fa foriero di interpretazioni funeste - ha scritto in un intervento sul Corriere della Sera - 'Mi ignori', 'Ti ho fatto qualcosa che non immagino', 'Non sono alla tua altezza', 'Selezioni a chi rispondere e io ne sono escluso o esclusa'. Prima della diffusione capillare dei telefoni mobili, questo veleno era assente dalle nostre esistenze". 

 

 

 

Saviano ha poi messo se stesso e la sua esperienza al centro: "Oggi tutto è cambiato e, avendo accesso a una connessione perenne, ci siamo trasformati da agenti in agiti. Cercati anche quando avvertiamo un’esigenza di solitudine. Anche quando non abbiamo forze per dissimulare la voce rotta dal dolore. Da quando sono finito sotto scorta, ho sperimentato su di me molte volte questa pratica d’assenza e di distanza". E ancora: "Mi sono chiesto per anni chi si sentirà sicuro accanto a me? Chi sopporterà di vedermi solo tra quattro mura e circondato da carabinieri? Ho smesso così di sentire le persone cui ero più legato per timore di farle stare male, di far vivere anche a loro il mio disagio; di chiamare e rispondere agli amici più stretti – e finanche a persone di famiglia – perché stavo male, talmente male da non volerli coinvolgere in quel casino che era diventata la mia vita". 

Secondo il giornalista, "la non risposta" può valere "come forma controintuitiva di protezione o di libertà". Dunque, ha proseguito, "si può scegliere di proteggere un amico dal dolore proprio non condividendolo, di avere il diritto di voler sopportare solo la compagnia di se stesso, e a volte nemmeno quella. Non chiedere soccorso, non voler condividere, sparire, non è fatto in molti casi contro qualcuno, anzi spesso è fatto a protezione di qualcuno".