L'intervista
Debora Caprioglio, la rivelazione dell'attrice: "Alle cene portavo la tata"
Debora Caprioglio è più bella che mai che nel suo sorriso spontaneo e nella sua consapevolezza tiene insieme una storia di attrice a tutto tondo. Protagonista al cinema, ha lavorato con i più grandi registi in Italia e all’estero. «Un inizio prorompente» lo definisce lei, diretta da una figura come Tinto Brass nel film Paprica del 1991 ma poi approdata al teatro in cui la dimensione del racconto converge maggiormente su una riflessione. Una maturità che consente alla Caprioglio di dare consigli ai giovani.
Lo fa attraverso una chiacchierata con Libero, presentando la 23esima edizione del Villammare Festival Film&Friends, rassegna cinematografica che prende il nome dalla bellissima località in provincia di Salerno. Un rinnovato momento di incontro tra attori e spettatori nel quale l’attrice veneziana dispensa consigli e racconti gradevoli. «Noi viviamo grazie al pubblico. Averl ritrovato le persone nelle platee dei teatri e al cinema ci rende vivi. Festival come questo di Villammare sono anche una rinnovata occasione di confronto diretto con i giovani, sia tra gli attori, sia tra gli spettatori, che troppo spesso si lasciano distrarre da altre forme di comunicazione come i social. È ora di ritrovare forme di rapporti più umani».
Lei, Debora, a proposito di umanità, in questa fase della sua carriera ha scelto di esplorare al meglio la parte femminile anche ricorrendo a figure di grandissime artiste come Maria Callas e Artemisia Gentileschi che nelle loro vite, lontano dalla loro arte, hanno vissuto vite molto travagliate...
«Sono grandi personaggi che sembrano lontani dalla nostra quotidianità ma poi, andando a conoscere meglio le loro storie, ci si accorge di come anche loro abbiano vissuto momenti non belli. Si tratta di due monologhi scritti entrambi dal mio grande collega, autore straordinario Roberto D’Alessandro. Nel monologo sulla Callas che tengo in repertorio dal 2016 mi piace mettere in luce la storia di questa grande artista, cantante, donna vista dagli occhi di un’altra donna, la sua governante. Parliamo di una artista che è stato un mito ma la cui vita, come diceva lei stessa, somigliava a una tragedia greca in cui a una gioia segue sempre un dolore. Artemisia Gentileschi è una figura più distante, una pittrice del 600, la prima donna pittrice ad essere ammessa all’accademia che ha lottato per i diritti delle donne in un tempo così lontano. Una ragazza che fu vittima di uno stupro ma fu processata come se fosse lei la carnefice. Storie che purtroppo ci fanno sentire tutto un po’ più vicino e attuale, nonostante i tanti anni che ci separano da quelle vicende».
A cosa si riferisce in particolare?
«Sono valutazioni che percepisco tra gli spettatori nei quali la storia di Artemisia provoca emozioni contrastanti. E allora si crea confronto, pensando a quanto la società sia cambiata in meglio su questi aspetti ma anche su come possa regredire. Senza dimenticare mai che, specie per le donne, il mondo non finisce in occidente. Ci sono zone nelle quali le condizioni della donna è peggiorata».
Lei prima di approcciare al teatro è stata la protagonista dei film di registi come Brass e anche dell’unico film diretto da Kinski su Paganini. Due figure artistiche e umane anche loro complesse. Che ricordi ha?
«Gli esordi li ricordo sempre con grande gioia. Sono passati tanti anni. Io grazie a questi due celebri e importanti registi sono entrata nel mondo del cinema e sono molto felice che dopo tanti anni continuo a fare questo lavoro e le cose che mi piacciono. Un entrare in modo dirompente e prorompente se vogliamo. Fa parte della mia storia e lo ricordo con tenerezza. Avevo 18 anni, sembra come vedere un film su un’altra persona ma sempre con molta consapevolezza. Mi piace però sottolineare come nel prosieguo poi c’è stato anche l’incontro con una grande regista donna come Francesca Archibugi che mi ha portato al primo grande cambio di direzione. Sono molto felice del mio trascorso perché ho avuto modo di conoscere artisti veramente molto diversi tra loro e credo questo sia stata una fortuna e un arricchimento».
Lei è una delle attrici più belle del cinema italiano. Che ruolo ha rappresentato per lei sul lavoro negli anni la sua bellezza?
«La bellezza è sempre qualcosa che si percepisce dagli occhi degli altri e per chi fa questo lavoro l’immagine è certamente la prima cosa che arriva. Perciò la consapevolezza di avere un aspetto gradevole mi ha garantito sempre un rapporto abbastanza sereno, poi però come tutte le donne ma credo anche gli uomini, ci sono periodi nei quali non ci si piace per niente. E con gli anni, per quanto io sia un’esteta, ho capito che la bellezza fine a se stessa bisogna coordinarla con altri elementi: l’intelligenza, il pensiero perché poi alla sola bellezza fisica, in qualche modo, ci si può anche abituare mentre non ci si abitua mai alla bellezza della conoscenza, dell’anima di una persona».
Le è mai capitato che qualcuno in ambito lavorativo abbia provato ad approfittare di lei come continuano a denunciare tante attrici nel mondo?
«Posso dirle che sono sempre stata una grande fautrice della prevenzione. Non solo nella salute ma anche nell’approccio alle persone. Proprio il fatto di aver iniziato molto giovane mi ha reso subito cosciente e mi ha dato modo di imparare presto a muovermi nel modo migliore in ambito lavorativo. Va detto che sono stata anche molto fortunata ad avere avuto sempre vicino persone che mi proteggevano. In particolare agli appuntamenti mi facevo accompagnare dalla mia tata Clara che è stata per me una sorta di chioccia. In generale andavo sempre accompagnata agli appuntamenti di lavoro. Come fanno i carabinieri. Il mio motto è stato sempre quello: si va sempre in due! (Ride)».
Tra le figure femminili con le quali si è confrontata sul palco, sempre in una rassegna al femminile, c’era anche Margaret Thatcer. Le piaceva la figura della Iron Lady?
«Quando era al governo lei in Inghilterra ero ancora giovane e non l’ho approfondita molto. Leggendo di lei emerge sicuramente una figura molto... strong. Forse per questo è risultata molto divisiva un po’ come tutte le figure a tinte forti. Sicuramente porto nel cuore l’interpretazione che ne ha dato Meryl Streep - che è la mia attrice preferita - al cinema e dimostra ancora una volta come l’arte spesso si trovi ad attingere da personaggi che hanno lasciato tracce forti che per questo in un modo o nell’altro sono rimaste nell’immaginario della storia».
Kamala Harris negli Usa riuscirà a battere Trump?
«Non lo so. È successo tutto molto rapidamente. Certamente intanto è stato giusto che sia subentrata alla candidatura del presidente uscente che manifestava un evidente affaticamento legato all’età. Il resto lo dirà il tempo. Speriamo bene”. Lei, invece, Debora nel suo futuro cosa vede? «Ancora teatro. In autunno ripartirò da Milano con date in tutta Italia dello spettacolo Plaza suite nel quale recito assieme a Corrado Tedeschi, poi negli stessi mesi di fine anno continuerò a proporre lo spettacolo su Artemisia Gentileschi e col nuovo anno ci sarà anche una nuova storia di donne con Vittoria Belvedere e Benedicta Boccoli. Si intitola Donne in pericolo ma non è una cosa drammatica. È un giallo leggero per la regia di Enrico Maria Lamanna».